giovedì 27 marzo 2014

Il cortile verso l'ombelico del mondo

Ultima notte prima di partire. Alle quattro e qualcosa si esce di casa direzione Linate. Da lì Amsterdam e poi via verso Lima. Finisco di fare la valigia e scrivere gli ultimi messaggi di saluto verso le due. Al di là di alcuni bei messaggi mandati o ricevuti devo ammettere che a sto giro non sentivo granché la partenza. Non la percepivo come una cosa solenne. Sarà anche per il fatto che non c’era la pioggia di Neruda, che mi aveva battezzato il giorno della partenza per il Guatemala.

Si parte, si va all’aereoporto, un abbraccio troppo rapido coi genitori, forse per non lasciar trasparire le emozioni. Mi incontro verso il banco accettazioni con gli altri ragazzi che partono con me. Tutti sorridenti e festaioli, forti del partire con un bel gruppo che nel giro di pochi giorni è già riuscito a formarsi.

Ecco, io la doccia alle 3 e mezza me la ero già fatta, però era bella calda. Per quella fredda c’ha pensato la signora dell’alitalia. Le nostre risate impiegano qualche tempo per scemare e capire che la questione è grave. Il biglietto di ritorno è per un periodo superiore ai 6 mesi, periodo massimo di permanenza senza visto, e quindi non possiamo partire. Panico paura! Altro che la sessione “come rispondere agli imprevisti” che abbiamo seguito con scarso interesse durante la formazione. Nel frattempo mi arriva un messaggio. La ragazza che partiva da Alghero ha trovato nebbia e non è potuta partire. Nebbia ad Alghero???? Eh, a quanto pare il mondo oggi è contro di noi.

Tornando a noi, proviamo a parlamentare a modo nostro, poi si decide di tirare giù dal letto il coordinatore. Lui con la bocca impastata prova a parlare con la tipa che a un certo punto esclama alla cornetta “con che autorità chiedo circa i visti”?!?!? e mi ripassa il telefono dicendomi “guardi parlateci voi”. Situazione surreale. Veniamo mandati alla biglietteria alitalia per poter comprare un biglietto di ritorno entro i sei mesi. Nel frattempo il tempo è passato rapido. Avete ragione, questo racconto non ha niente al cardiopalma. Arrivo al dunque. Il tipo della biglietteria ci dice “ok, vi sposto il biglietto senza sovrattassa”. Ma scusi, la sua collega aveva detto… “lasciate perdere quella là”. Fuga!!! Si parte!! Via ad Amsterdam. Ci incontriamo con quelli venuti da Roma e Venezia mentre la sarda si orienta ancora nella famosa nebbia di Sassari.

Saliamo sull’aereo della KLM. Posti liberi per 130 passeggeri. Yahooo!! Io inizio a sentire che la febbre sale. Vaccino della febbre gialla di merda. E per fortuna che m’hanno detto che non dava effetti collaterali. Febbre, mal di pancia, dolor de cabeza… mi approprio di tre posti, 5 cuscini e n+1 coperte. Non riesco a dormire e sicuramente il cibo terrorista che ci danno non aiuta a far calmare la mia nausea. Finalmente riesco a trovare il sonno dopo un bel po’ di ore di tentativi. Sbam!! Varie cose mi cadono addosso e mi sveglio di soprassalto. “Holy shit”, esclama la hostess nel guardare tutto il mio vassoio cadutole di mano e rovesciatosi sopra di me. Nel frattempo il resto della ciurma ha ben deciso di sfruttare a fondo l’open bar della klm. Io sempre da schifo invece. Cerco di consolarmi con la televisione di bordo e mentre c’è chi si spara “12 anni schiavo”, io punto sul vecchio Tom & Jerry, sentendomi un po’ bambino malato. Finalmente Lima. Dall’aereo, momento del tramonto, il sole è bellissimo. Sembra che sia sott’acqua, immerso nel pacifico. A sinistra, invece, scorre un paesaggio marziano. Tutto desertico e agglomerati urbani molto strani. Più si va avanti e più si infittiscono fino a diventare una distesa immensa. Casette ovunque che già a guardarle dall’aereo capisci il degrado che può caratterizzarle. In ogni caso, guardando sta città così grande, mi dico “per fortuna che vado sulle Ande”.

Arrivati all’aereoporto non trovo ad aspettarci Janet, la signora della ong che doveva venire a prenderci. Ciò nonostante vengo assalito subito da un surreale Giovanni Mellone in camicia bianca che a stento contiene la gioia colpendomi la testa. Se fosse stato un assalitore mi avrebbe spogliato senza problemi! Invece era solo un’ottima sorpresa!

Ieri, primo giorno a Lima, ci hanno fatto fare formazione di vario tipo. Un incontro con un tipo con due palle così che ha parlato della lotta per la difesa dei diritti umani durante questi 30 anni. Poi un inquadramento politico-storico del peru e, nel pomeriggio, sessione di tradizioni, favole, cibi e balli locali. Abbiamo bevuto la Chicha che a me sapeva tanto del malto che qualche volta in fabbrica rimaneva in dei posti difficili da pulire e fermentava emanando un gran tanfo. Comunque, ne ho bevuta parecchia! E poi le foglie di coca, con la tipa che ci teneva a dirci che non è droga ma una pianta medicinale… tutto molto bello comunque!



Ora sono già al secondo giorno a lima. Sono le sette di mattina e mi sono svegliato un po’ prima per prendermi del tempo per me. La febbre è andata via. Ancora non sono uscito da queste mura della struttura dove stiamo facendo formazione. Oggi teoricamente andremo a visitare alcune delle zone rurali dove opera la Ong cosi finalmente inizio a vedere il Peru. 

Il cortile è continuamente in movimento

giovedì 20 marzo 2014

La deriva dei continenti



La prima volta che varcai l'invisibile linea che separa i continenti avevo 22 anni. Fu allora che iniziai a confrontarmi con le peripezie burocratiche che animano gli uffici immigrazione di un mondo e che chi nasce e cresce nell'area Schengen non immagina. Quella volta andai in Togo e lì restai quattro mesi, dando nel frattempo una fugace visita a un paio di altri paesi dell'Africa occidentale.

Quando ero a Lomè spesso ripensavo con nostalgia a casa, scrivevo a parenti ed amici molto più di quanto non faccia oggi, assuefatto come sono al cambiamento. Più che la distanza è il cambiamento a giocare un ruolo in questo mio ragionamento.

Una notte, mentre mi rigiravo come una tarantolata fra delle lenzuola umide feci un sogno così realistico da rimanere fino a oggi impresso nella memoria come un evento davvero accaduto. Ancora ricordo infatti come fosse ieri quella volta che ebbi la possibilità (non so come, né perché) di lasciare Lomè per un fine settimana e ritornare a Lecce. Qui rividi i miei, mi feci preparare il mio piatto preferito, ritornai per un paio di giorni alle vecchie abitudini, la vecchia routine. Non misi neanche il naso fuori di casa tanto era grande il desiderio di sfruttare al massimo quelle poche ore che mi erano date; e per me questo significava rimanere a casa.

La mattina riaprendo gli occhi ci misi qualche secondo a capire dove mi trovassi, cosa fosse successo. Una cosa che però non ricordo è se fosse più la felicità per essere stato un paio di giorni a casa o la delusione di non esserci stato davvero. Forse più semplicemente quella di non esserci rimasto un po' di più.

A distanza di qualche anno da quel fine settimana, che fu forse solo una notte come tante, ieri sera mi è capitata una cosa simile. Uscito dalla oficina, col solito sole rosso acceso e i roghi serali di colline di rifiuti a disegnare scenari apocalittici lungo Calle Izaguierre, ho preso il bus come ogni giorno, quello che taglia Lima o che comunque, di solito, mi porta a casa. Ancor prima di aver percorso metà del tragitto però sono sceso alla fermata dell'aeroporto. Qui, dopo mezzora, ho avuto il mio pezzo di casa. Non voglio perdermi in discorsi tediosi su quel che si prova a vedere un amico arrivare nella tua nuova terra sapendo che ci rimarrà anche lui per un bel pezzo. Noi due sappiamo e questo basta. Spero che questo camuno riceva dal Perù quello che sto avendo io. Condivideremo l'attesa di quelli che ancora non hanno fatto il grande passo verso l'emisfero australe.

mercoledì 12 marzo 2014

Matrix è un Sistema Neo (CDM)



Cari palle,

La miagiornatatipo inzia con abluzioni e tragitto casa lavoro.  10-15 minuti nel traffico. Di lusso. Arrivo in ufficio e scarico la merda, pardon le mail, e fino a sera smazzo i cazzi burocratici della mia multinazionale. Et voilà.Mi sono adagiato. Mi cullo e mi logoro nell’attesa di maggio, quando avrò maturato un anno di esperienza e mi rimetterò sul mercato. Attendendo Godot,  la settimana scorsa duepiccoli momenti hanno riacceso il mio pensiero irrequieto e mi hanno sbattuto in facciala mia involuzione.

Tra le mail martedì c’era un’iniziativa patrocinata dalla multinazionale. In una settimana l’azienda ha sganciato un milione di dollari in microcredito e cooperazione attraverso Kiva....è buffo pensare che io esattamente 10 anni fa stavo facendo il passaporto per partire per Nairobi..beffardo direi.Ho fatto il mio dovere di opulento occidentale facendo la mia donazione. Mi consola pensare che aiuti a ripulire il mio karma. E mentre cliccavo la mente si è liberata per un istante, sognando quel mondo migliore che intendevo costruire. Sono tornato per un attimo un sognatore dai bruttissimi pantaloni colorati a righe e l’orecchino..

Ho capito perché finché non ho varcato le porte del mondo del lavoro ero diverso: avevo un sogno e credevo che quella goccia che lasciavo nell’oceano avesse un valore. Ero un illuso ma ero felice.

Irrequieto continuo a viaggiare tra il passato e le mie scelte quando l’altoparlante annuncia che una grossa banca d’affari oggi è si è dislocata nel nostro ufficio per smazzare i nostri cazzi burocratici e per procacciare acquirenti con allettanti polizze sulla vita (e la tastatio testiculorum è dovuta..).

Risolvo i miei di scazzi con la banca ed inaspettatamente col procacciatoreinnanzi a me si instaura una discussione macroeconomica sull’Eurocrisi. Lui inizia a raccontarmi la sua visione del mondo della finanza ed io la mia. Penso di addentrarmi in un sentiero pericoloso e pieno di insidie in cui lo squalo finanziere esalterà la genialità del capitalismo finanziario e le sue sfavillanti possibilità.

Errore. Siamo d’accordo sulla follia della diseguaglianza, sull’oasi di folle ambizione che è questa città, sui flussi disgustosi di capitali che fluttuano nel nulla senza creare valore, anzi affamando o impoverendo milioni di persone. L’ingiustizia del sistema ci indigna entrambe e parecchio.

Poi ci guardiamo e capiamo che è il nostro è solo un impeto filantropico, sterile, radical chic.A noi fa comodo che sia così. Noi siam quelli che raccattano le rimanenze di coloro che smazzano le carte del capitalismo. Facciamo chiacchiere da bar. Capiamo ma non agiamo, assistiamo e mungiamo la vacca, perché noi siamo dalla parte “giusta” della globalizzazione.Ci accomuna la consapevolezza di essere di una squadra che non sappiamo che criticare..ma nel cui spogliatoio non gridiamo. Non sappiamo come farlo e troppi alla porta non aspettano altro che fotterci la maglia. Quindi tacciamo. Gli stringo la mano e mi congedo confuso. Ritorno mesto al mio desk.

Il lavavetri davanti alla mia finestra mi riporta alla realtà. Morpheus me lo aveva detto già nel 2000. Mi aveva detto com’era diviso il mondo. Matrix mi aveva insegnato come funziona il sistema. So a memoria le parole di Morpheus.“The matrix is a system Neo..”

Ho viaggiato in 4 continenti per diventare “dipendent by the system”?
Io sono il nemico che volevo combattere? Forse no..
Morpheus mi hai insegnato che il mondo era diviso tra rivoluzionari e conservatori.
Ma io non sono nessuno dei due.
Io sono un uomo qualunque..



domenica 2 marzo 2014

Bronzo, argento e oro



Da un lato all'altro della camera ora pendono quattro stracci i quali io, restituendo loro un po' di dignità, vorrei chiamare magliette. E' un vecchio rimedio che chi ha frequentato il soppalco di Via Brichetti qualche anno fa ricorderà. Una sottospecie di soluzione d'arredo in mancanza di oggetti d'arredo. Questa camera non è molto più ampia di quel soppalco, affacciandomi alla finestra di notte non c'è un'anonima stazione della Bassa padana persa nella nebbia, ma le luci di un quartiere, Magdalena, lungo le cui avenidas i grattacieli vengono su come funghi, come a Hong Kong. Proprio uno di questi grattacieli fra qualche mese oscurerà le basse e colorate case di Calle Daniel Hernandez e delle altre calles che si ramificano alle spalle di Avenida Brasil. Da un tredicesimo piano ce n'è di strade da vedere.

La speranza è dunque che almeno qui in Perù non costruiscano alla stessa velocità di chi, sull'altra sponda del Pacifico, tira su 30 piani in 6 mesi. E' rassicurante il fatto che cercando su internet bambù in Perù, trovi soltanto un ristorante cinese.

Senza che nemmeno me ne sia reso conto intanto un mese è passato. L'iniziale entusiasmo è divenuto consapevolezza. Quella di trovarmi in un luogo che prima di prendere e pretendere ti dà delle opportunità. Sentirsi derubato di undici ore di libertà ogni giorno, costretto a una scrivania con le catene della busta paga, è d'altronde un inevitabile corrispettivo per tutto quello che in coscienza si è voluto lasciar dietro.

Non era soltanto oro tutto quel che luccicava. Queste undici ore sono un bel pezzo di bronzo finito dritto nei denti. Come una vecchia amica mi ha detto, il sentimento di inadeguatezza dietro una scrivania è comune a tanti. Nonostante questo, resta la bellezza di Lima, la sua elegante anarchia, il fermento e l'eccitazione per i nuovi progetti oggi supposti, proposti a un amico, e domani realizzati.

Ci sarebbe anche dell'argento da qualche parte, l'hanno lasciato alcuni zingari passati di qua. Non essendo come loro molto incline al nero sulle dita, aspetto di capire se sia anche quello oro o, viceversa, bronzo.