giovedì 26 dicembre 2013

Nel dubbio antani!

Considerando che Mellone è uno di poche parole, leggere due righe in cui diceva che dovevo essere io a scrivere dei giorni che abbiamo passato insieme l'ho visto quasi come un pippone, tanto che in silenzio ho risposto come solo Garibaldi a Teano ha saputo fare: Obbedisco

La vita di ogni giorno è fatta da da una routine di suoni a cui siamo talmente abituati da non farci quasi piu caso riducendoli al limite del percepibile, come il rumore della macchina mentre guidiamo o il ticchettio dei tasti del computer mentre scriviamo.
La cosa particolare di questa storia dei rumori è che è tarata su una particolare frequenza...cioè, noi non sentiamo solo il ticchettio del nostro computer o il rumore della nostra macchina. Provate a scrivere con il pc di un'altra persona, quel piccolo rumore all'inizio verrà percepito come estraneo, senza contare come le mani inizieranno a muoversi in quella tastiera diversa dalla vostra.
Col tempo ci si abitua anche a quei rumori che una volta erano estranei, anzi, quello che una volta era estraneo diventa il tuo quotidiano, diventa la routine. Poi un giorno mentre stai camminando risenti un vecchio suono. uno di quelli da routine...non è più quotidiano, ma nemmeno estraneo.
Per un secondo quel suono vi farà pensare a dove eravate quando lo sentivate, alle altre persone che erano assuefatte come voi. Un suono può essere la porta per un viaggio piacevole.

ci sono voluti 3 voli intercontinentali, uno spostamento inter regionale e uno intra regionale (per non considerare l'enorme sforzo che ho fatto io per alzarmi dal divano rosso e andare a rispondere al citofono di chi arrivava paragonabile a un viaggio su giove) ma ce l'abbiamo fatta.

Sarebbe stato bello essere tutti insieme ancora sotto il tetto di Casa Bertone, tutti e sette con Kycca che fa da Maestro di Cerimonia a bere,mangiare e bere.
Purtroppo eravamo solo in sei. Dopo le mazzate dell'anno scorso qualcuno ha scelto VOLONTARIAMENTE di disertare il nostro randez-vous.


Ho subito capito che cosa mi aspettava quando nel giro di 2ore avevamo fatto impazzire una cameriera e eravamo in pista di decollo a suon di bottiglie di mirto, amari del capo, creme di limoncello al magma e, lo confesso, una leggerissima incontinenza da risate.

Si sa quando si è insieme agli amici ci si dimentica del tempo e GiòFerma ha trovato questo modo originale di scandire il tempo e ricordarci della sua esistenza: Le scorregge (Petus Camunis)
Ma come vi ho detto ci si abitua ai suoni...anche a quelli di Ferma, e dall'arrivo di sabato alla partenza di lunedi non li sentivo praticamente piu...

Brindisi di benvenuto, di riconciliazione, di beviamoci su, di perchè stiamo brindando sono stati gli eterni protagonisti della fase prepartenza...e l'ultimo è stato fatto da me e Ferma alle 10 del mattino con dell'ottimo Jegermeister, anche se visto che stavamo per partire per un'impresa sarebbe stato meglio del montenegro.

ufficiale, si parte!!! io e ferma prendiamo la prima macchina raccattiamo mellone e ci incontriamo con karim ilardi e sbatti: un piano semplice, lineare, regolare...abbiamo perso circa 30 minuti a rincorrerci per pavia prima di ritrovarci nello stesso posto...si parla di 11 lauree in 6 persone...vabè

per motivi logistici si va purtroppo con 2 macchine una delle quali guidata da ferma che regala subito la prima emozione ai due copiloti uscendo fuori strada e rischiando il cappottamento del veicolo perchè doveva cancellare le foto dalla macchina fotografica.

la prima tappa è chiara a tutti, si va a Zelate di Bereguardo a rendere i nostri omaggi a uno dei più grandi caratteristi del cinema italiano: Guido "dogui" Nicheli, o come tutti lo conosciamo, il cumenda!

http://www.youtube.com/watch?v=5T8huEXcYAQ

troviamo subito il cimitero e come benvenuto troviamo la merda di animale più gossa che io abbia mai visto e decidiamo di ornarla con dei fiorellini da campo! il cimitero è grande piu o meno come casa bertone e riusciamo a non trovare la tomba del nostro beniamino...11 lauree...
per fortuna troviamo qualcuno da supercazzolare a dovere ma che ci spiega dov'è la tomba e li entriamo in meditazione mistica davanti all'epitaffio "see you later"...un'altra categoria. foto di rito e partenza per l'oltre po pavese dopo una intensa conversazione con una badante dell'est che cercava lavoro in cui le proponevamo lauti compensi in cambio di palpate e cotolette per un anziano nobile pavese.

Dove siamo finiti non lo so, ma sappiate che era un posto dove avevano fatto un museo delle bambole.
perchè la gente dovrebbe farci un museo con le bambole e non potrebbe giocarci?? semplice: non esistono bambini. l'età media è 69 anni. Sbatti si esibisce in una supercazzola carpiata citofonale a un funzionario del comune per farci aprire il museo che non ha assolutamente gradito e ci ha impedito di entrare nel tempio del ludico.

la fame inizia a farsi sentire raccattiamo al volo un bel due di picche da 2 sventole che hanno la tessera fidaty dell'inps e che quando sono nate pagavano ancora col baratto e partiamo in cerca di cibo. non ci sono i bambini...figurati se c'è da mangiare. l'unico che troviamo è un tizio su un camion in collina che prova a venderci un prosciutto.

nonostante l'orario troviamo ospitalità presso una trattoria che ci fa mangiare e bere vino. (nell'attesa del primo una vita da pezzente regala emozioni con pane olio sale e chili di parmiggiano della serie mangio finche è gratis.)
tutto il personale della trattoria è stato gentilissimo con noi...ma vuoi per l'orario, vuoi per le supercazzole a ripetizione quando siamo usciti hanno chiuso immediatamente e pur di levarsi dal cazzo quei sei rompicoglioni hanno pure regalato la gazzetta a Ferma.

dopo una lunga conversazione con un vecchio leghista del posto che chiama ancora i propri figli bambini, nonostante questi siano già nonni, aver dato del terrone a mellone piu e piu volte e averci raccontato della sua magistrale carriera accademica (in cui è stato costretto a ripetere ben 3 volte la prima elementare, e reiterando piu volte questo concetto sbandierando 4 dita davanti ai nostri occhi) partiamo ancora per mete sconosciute.

non so dirvi come siamo arrivati alla penultima tappa della zingarata, ma quando abbiamo visto la chiesa abbiamo avuto tutti la stessa idea...la supercazzola dell'abbattimento!!
Crick dell'auto usati per le misurazioni, giubbottini catarifrangenti, canne di bamboo di 2 metri e mezzo, e un povero vecchio li a guardare inerme l'abbattimento della chiesa e della sua casa.

scappiamo per cercare un posto dove goderci il tramonto e ci ritroviamo in una specie di santuario completamente abbandonato bellissimo da dove si gode una vista bellissima sulle colline dell'oltre po e riusciamo a trovare un momento per prenderci bellamente per il culo tra di noi (visto che fino a quel momento c'eravamo troppo impegnati a prendere per il culo gli altri).

alla fine del tramonto torniamo a casa, anche se karim vuole bere qualcosa sulle rive del po e si ferma con la macchina sotto il ponte della becca, il ponte meno sicuro al mondo (dati istat)

dovrei scrivere qualcosa di chiusura...ma come si fa? cosa dovrei scrivere? non è una questione di retorica ma la mia zingarata è iniziata anni fa e ancora non è finita. come si fa a chiudere qualcosa che non è chiusa?

lascio chiudere al Perozzi. uso le sue parole perchè io, di meglio, non so fare!!

http://www.youtube.com/watch?v=KUz6qSK4qfk





giovedì 19 dicembre 2013

Patì Buleia - nomeadamente, a greve em Bissau

Mentre in Italia il movimento dei forchettoni impazza nelle grandi e piccole città riempiendo le strade di una pericolosamente eterogenea massa di gente, un po' di padroncini piccolo-borghesi, un po' di gente inginocchiata dalla crisi contro la quale le proteste non sono iniziate il 9 dicembre – con tanto di blocchi degli autotrasporatori che vagamente ricordano il golpe cileno che l'11 settembre del 1973 portò alla morte di Allende e all'inizio della dittatura di Pinochet - insieme a manfrine tipo “non siamo né di destra né di sinistra” che puzzano un po' di rosso-bruno con tanto di applausi a Di Stefano ai comizi, bene, nel frattempo a Bissau noi facciamo

LO SCIOPERO GENERALE

Oddio, lo fanno loro e tutti quelli che sono costretti ad abbandonare le proprie attività a causa dello sciopero, in un posto in cui la logistica e gli equilibri sociali, insieme agli incastri che compongono un sistema complesso come una capitale africana si reggono su filo di una ragnatela.
Scopro che c'è lo sciopero la mattina stessa in cui lo sciopero inizia, ossia lunedì. Ero rimasto a Bissau dopo la deludente celebrazione della giornata dei diritti dell'Uomo di sabato e domenica, la cui unica nota di colore è costituita dalle mirabolanti performance di danze africane al centro culturale francese con un altissimo tasso di salti mortali e capriole per aria, tutto condito da un senso del ritmo che sembra essere presente un po' in chiunque, qui. Il lunedì dunque mi tocca andare ad aprire Cabaz di Terra – il negozio dei prodotti delle ONG che fanno riferimento al Comercio Justo - dopo un sabato sera a suon di capirinhas (costano 500 CFA, meno di un euro) e una domenica per ripigliarsi a mezzo mandioca e patate dolci, tutto rigorosamente fritto (25 CFA l'una, meno di una goleador) e comprato tra le strade terrose del mercato di Caracol.
Fortuna volle che l'unico africano presente nella casa in cui ero ospitato fosse informato della sollevazione generale, così da consigliarmi la mattina stessa di spicciarmi e cominciare a camminare, chè salvo botte di culo mi attendeva un'ora buona di cammino tra mercati e traffico.

Esco di casa in tempo; conosco la strada, mi avvio cercando con lo sguardo tassisti crumiri o macchine mezze vuote a cui chiedere un passaggio. Il tentativo dura pochi minuti, mi rassegno presto e disinnesco il passo da terrone, unico modo per arrivare in tempo a destinazione. Scopro di orientarmi piuttosto bene, grazie ai ripetuti rally per le strade della capitale e ai giri che il lavoro ci obbliga a fare in questa città il cui assetto urbano non dev'essere stato guidato da un piano regolatore scritto da grandi luminari della materia. Attraverso Jerico, raggiungo i lati esterni del mercato di Caracol prima e di Bandim poi. Ci sono poche auto per strada, e molta meno gente del solito. L'ultima strada prima di incontrare l'asfalto è Mindara, famosa per l'alto tasso di assalti e per la puzza di pesce fumato mista a immondizie di sorta. Meticolosamente ammassate al centro della strada tipo spartitraffico. Quando cerco il tizio che di solito mi vende le stecche di Marlboro a 4300 CFA (una stecca costa quanto un pacchetto e mezzo in Italia), mi rendo conto che il suo contentor è chiuso, come il 90% dei grandi contenitori portuali all'interno dei quali vengono ricavate le lojas nella strada-mercato di Mindara.
Raggiunto finalmente il tratto asfaltato che porta a Bissau Vellho, il quartiere storico dove si trova Cabaz, davanti a me appare qualcosa che assomiglia molto a Pavia a ferragosto. Le strade che solitamente strabordano di auto sono quasi vuote, e i pochi passanti si sbracciano per essere caricati dai pick up di passaggio, quasi sempre senza ottenere nulla. Mi rendo conto che, al netto dei taxi e dei toka toka – che oggi non ci sono a causa dello sciopero – le auto private che girano per la città sono pochissime. 
Il sole reso diafano dalle sabbie del Sahel alzate dai venti Sahariani mi accompagna fino a destinazione; per strada non avverto nessuna elettricità, non si incontrano manifestanti né grandi dispiegamenti di forze dell'ordine; la solita polizia che veglia sulla città dalle sedie di plastica piazzate nelle rotonde e le solite camionette dell'Ecowas piene di militari dell'esercito sovranazionale, in maggioranza nigeriani e armati fino ai denti. Di manifestazioni di piazza neanche l'ombra, arrivato al negozio accendo la radio e cerco di capirci qualcosina in più.

Lo sciopero è stato congiuntamente convocato dalla UNTG (Union geral dos trabalhadores da Guiné) e dalla CGSIGB (confederação geral dos sindicatos independentes da Guiné-Bissau); ho cercato notizie sulla storia di questi due sindacati, ma l'unica cosa che ho scoperto è che la UNTG fa parte dell'ultima versione dell'internazionale socialista, la ITUC (International trade union confederation). Sono entrambi sindacati confederali, rappresentano tutte le categorie di lavoratori; di certo esistono anche piccoli sindacati di piccole categorie, di cui è impossibile trovare le sigle.
L'impostazione è molto simile a quella di tutti i Paesi che nella storia hanno avuto un partito di socialista forte, come lo è stato il PAICG di Cabral; in realtà l'unica categoria con la quale questo sindacato si relaziona per via diretta è quella dei lavoratori pubblici, dato che tutto il resto funziona un po' come capita. L'esempio più clamorosamente di questo funzionamento generale guidato apparentemente dal fato è quello dei trasporti, composto principalmente da taxi, Toka Toka e Kandonga.

I taxi sono tutti uguali, Mercedes tipico anni '80 alla Starsky&Hutch, carrozzeria azzura e tetto bianco. Se vuoi fare il tassista te ne compri uno, e se non ti va di guidare tutto il giorno lo affidi a qualcuno che lavora per te (i guineensi si affacciano a questa pratica come gli europei si affacciano alle start-up, per intenderci); i prezzi sono calcolati sulla base del numero dei quartieri che vengono attraversati per raggiungere la destinazione, oltre che sulla gradazione di bianco che ha la tua pelle. Sui taxi giuro che ci faccio un reportage in pieno stile repubblica.it.
Un toka toka
Il Toka Toka è l'equivalente degli autobus urbani, sono piccoli furgoncini giallo-blu abbelliti dalle più disparate suppellettili e aereografie (gettonatissima quella del Che) con panche al centro e sui fianchi; ci entra una quantità di gente e di merci impressionante. Il viaggio costa 100 CFA sempre, ovunque tu vada; esistono delle linee approssimative rese note all'utenza scrivendone direttamente il nome sulla fiancata del mezzo. Gli autisti toka toka non sono famosi per la loro capacità di calcolare gli spazi di movimento né per la loro delicatezza. Il Kandonga, infine, è il trasporto extraurbano. Inizialmente gestiti dal ministero dei trasporti, attualmente sommersi dalla gestione privata dei singoli; il che non vuol dire che lo Stato ha esternalizzato la funzione dei trasporti, bensì che chiunque abbia un autoveicolo con più di 7 posti ci possa attaccare sopra il nome di una città e usarlo per trasportare gente. Nei “paragens”, una specie di autostazioni rudimentali, esiste addirittura una persona che ti fa un biglietto e ti assegna un posto; peccato che per strada il mezzo si fermi per caricare chiunque lo chieda. Il tragitto Bissau-Quinhamèl costa 500 CFA, anche se mi è capitato che me ne chiedessero 10.000 dicendo “Io sono l'ultimo che ci va, o vieni con me o resti qui”. Una supercazzola a cui non ho ceduto, essendo stato educato dai discepoli del conte Mascetti.

I dipendenti pubblici scioperano perchè non ricevono lo stipendio da tre mesi; la paralisi della città, tuttavia, non danneggia il Governo né lo induce a scendere a compromessi. Essendo moltissimi aspetti della vita comune gestiti da un singolo e non da un apparato statale, il blocco dei mezzi di trasporto crea solo problemi ai cittadini e non alla macchina scassata che è questo Paese.
Tuttavia, i sindacati che hanno proclamato lo sciopero hanno fatto leva sui tassisti e autisti vari, aggiungendo alle proprie rivendicazioni quella di ridurre gli abusi di potere della polizia sui trasportatori; capita spesso che i poliziotti fermino i mezzi, si inventino un'infrazione la cui multa vedrà l'importo dimezzato se l'autista è disposto a pagare subito. Chiaramente quei soldi finiscono dritti dritti nella tasca del poliziotto.
La solidarietà è durata solo per i primi due giorni; nonostante i sindacalisti picchettassero le zone nevralgiche per controllare se ci fossero crumiri per le strade, martedì giunge la comunicazione dei sindacalisti che chiede ai solidali scioperanti privati di ritornare alle loro mansioni, causa l'eccessiva confusione creatasi e l'incontrollabile catena di piccole tragedie individuali che l'assenza di mezzi stava creando. Impossibile chiaramente verificare l'erogazione dei “servizi minimi”, benchè “serviço minimo!” sia una delle frasi più invocate nei luoghi di lavoro.

Dopo i primi due giorni di sciopero, in cui i sindacati chiedevano il pagamento dei 3 mesi di arretrato dei dipendenti della funzione pubblica, il controllo dei prezzi dei beni di prima necessità (che con il blocco dei trasporti sono ulteriormente ma temporaneamente aumentati), oltre che la questione della sicurezza sociale, il Governo ha aperto un tavolo di concertazione in cui è stato accordato il pagamento immediato del primo mese di arretrati dei dipendenti.
Si tratta di punti centrali piuttosto trasversali, ed è bello che sia una figura istituzionale a guidare il conflitto di una nazione schiacciata dalla povertà, che ancora si lecca le ferite di una guerra civile finita 10 anni fa e dalla quale il Paese non sembra essersi ancora ripreso. Quello che risulta difficile capire, benchè quello che è successo qui mi sembra ben lontano dal corporativismo che riempie le piazze italiane dal 9 dicembre, è quanto possa essere efficace il ruolo dei sindacati in un Paese in cui i meccanismi della democrazia sono stati importati dall'ex Unione Sovietica, in cui l'organizzazione statale è un perfetto organigramma copincollato dai vecchi Paesi socialisti ma pieno di buchi e di crepe, in cui i legami istituzionali si mischiano con le dinamiche sociali che si creano in assenza dello Stato rattoppando la macchina, che potrà così percorrere qualche altro chilometro fino alla rottura del prossimo pezzo, all'usura della prossima componente.
Ad ogni modo, la situazione sembra essere tesa visto l'ulteriore rinvio delle elezioni; l'adesione forte allo sciopero, che maliziosamente può essere attribuita alla scarsa attitudine di molti al lavoro, è sicuramente un segnale preoccupante. Di certo qui non ci sono i problemi che colpiscono la "vicina" Repubblica Centrafricana, dove il presidente è stato deposto dai ribelli di Seleke, rivendicando le radici musulmane del Paese che pensano bene di recuperare con processi sommari nei villaggi ai presunti oppositori; il popolo guineense è un popolo mansueto, abituato alla convivenza religiosa e decisamente poco fanatico; ma qui e lì sembrano esserci delle molle pronte a scattare, al di là di sensazionalisti allarmi degli osservatori internazionali (nel mio caso, la polizia federale brasiliana) che mettono in guardia da imminenti colpi di stato.
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Le vendite sotto Natale aumentano, la giornata va abbastanza bene e torniamo a casa con un buon gruzzoletto, qualche altra giornata così e siamo a posto anche a gennaio, dice Mariana.
La strada per Quinhamél è quasi sgombra di carri e altri mezzi a motore. Rimangono i tutti i tipi di animali commestibili e non a popolare l'asfalto, e tutte le persone che in mancanza di alternative si muovono a piedi per affrontare chissà quanti chilometri. “Patì buleia!” - gridano tutti vedendo il retro del pickup pieno di cose e non di persone. Patì buleia, in una traduzione poco fedele corrisponde a “dammi un passaggio”. La differenza tra il “passaggio” e la buleia è che se ti fermi per darne una a qualcuno, tutte le persone che ci sono nei paraggi salgono in macchina anche senza sapere dove sei diretto. Mi è capitato di farla solo una volta, alla richiesta da parte di due militari di fermarmi; pensai che se non mi fossi fermato sarei stato rapidamente raggiunto da una scarica di mitra, e che mi stessero fermando per chissà quale ragione di ordine pubblico. Volevano solo essere accompagnati all'ospedale di Quinhamél, dove il fratello di uno dei due era in cura.


Tornando a casa ci fermiamo per recuperare Betti, la cuoca, e Mariana mi invita ad ripartire rapidamente per evitare l'assalto al pickup, ma non ho potuto fare a meno di ricordare la gratitudine di quel militare che qualche settimana prima fu sufficiente perchè la giornata scorresse senza preoccupazioni di sorta. Quella volta anche io avevo contribuito ad oleare ulteriormente un meccanismo che però ha una scadenza ben determinata; quando anche questo si romperà definitivamente, probabilmente l'Africa avrà bisogno di una nuova colonizzazione, o di una nuova – e questa volta vera – riscossa.  

giovedì 12 dicembre 2013

Hong Kong, ultimo atto

Studenti, proteste e scontri alla Sapienza - Diretta video.

In audio cori che un po' di anni fa, quando ancora frequentavo lo stadio, si cantavano sulle gradinate di cemento senza nemmeno pensare a cosa si stesse dicendo. Sono giorni di proteste strane, preoccupanti, eterogenee che neanche in Siria.

Poi, dall'altra parte del pianeta, c'è lui che freddo, deciso e senza timori ci ha insegnato come un africano può fare la supercazzola del secolo. Se la copertina non fosse già stata mandata in stampa, sarebbe dovuto essere Person of the Year 2013. Altro che Bergoglio, questo è il nostro guru. 


Alla rabbia che Ferma nel suo ultimo post ha manifestato in punta di strofa io posso orgogliosamente anteporre una mobilità sociale e spaziale di tutto rispetto. Da incamiciato fattorino irregolare in Estremo Oriente ad aspirante cooperante a Roma, dalle comode poltrone della Lufthansa a un pullman stipato di settantenni turbocattoliche con le quali gioire dei miracoli della vita.

Ora la pace di Lecce, le biblioteche senza internet da tre mesi, con i loro stravaganti orari di apertura (9-14; 15-16.30), la pietra di Porta Napoli, i rustici, i ciceri e tria, le piacevoli attese di un'ora in posta e Matteo Renzi in tv.

Mi chiedo che idea si possa fare un cinese di questo posto. Un cinese, preso non proprio a caso, ma ultimamente li vedo ovunque. Mi sembra si stiano moltiplicando, cosa che probabilmente non è neppure del tutto falsa. Di certo c'è che è un popolo strano, come altro definireste voi una dozzina di elementi di suddetto popolo, che si recano al parchetto sotto casa, con corpi macchina, obiettivi grandangolari, tele, flash, e altre attrezzature fotografiche da far impallidire McCurry, per fotografare un fagiano?

Qualcuno mi farebbe giustamente notare che i signori in foto più che cinesi, sono hongkonghesi, cosa ben diversa. Bene, parlando di questi ultimi ci sono ancora un paio di cose che mi hanno stupito nelle poche settimane che ho passato a Hong Kong, prima di dover rientrare in tutta fretta, ricevuta la telefonatina da Roma. Primo fra tutti il prezzo che una persona può arrivare a pagare per un appartamento in quel posto. Qualche giorno prima di risalire sull'aereo sono stato ospite di alcuni amici: un bell'appartamento in parquet al 36esimo piano, con una vetrata oltre la quale lo skyline di Hong Kong si riflette nell'acqua della baia. Gran bello, non c'è che dire. Bene, quando mi hanno detto il prezzo a cui i proprietari intendono venderlo, l'ho dovuto convertire in lire, cosa un po' strana se non hai 80 anni e non sei nel 2000. 2.400.000 euro per un'ottantina di metri quadri. Qualche giorno fa, mentre camminavo per il centro di Roma, facevo dei confronti. Forse non hanno molto senso, però sono convinto che devi avere qualche rotella fuori posto se, dopo aver visto Roma, scegli di spendere quella cifra per vivere ad Hong Kong.


Fra l'altro, in quei lussuosi appartamenti vivono e lavorano donne che, in qualunque lingua si parli, a Hong Kong chiamano maid. Donne, quasi sempre filippine, che non ricevono un trattamento più decoroso di quello che ricevono le loro controparti a Dubai. Certo non viene da pensarlo il martedì mattina, quando le vedi all'uscita dalle scuole in attesa dei figli dei manager e delle avvocatesse in tailleur. E' durante il fine settimana che inizi a domandarti cosa ci facciano quelle donne ai bordi delle strade, rinchiuse come polli in cartoni ripiegati a creare piccoli loculi. Qui passano il loro tempo aspettando di poter rientrare nella casa in cui durante la settimana lavorano. Forse in Estremo Oriente anche questa inciviltà chiamano settimana corta.

Un giorno avevo ingenuamente deciso di andare alla ricerca di un po' di storia in quel posto. Avevo letto di un luogo, verso il confine con la Cina, che aveva conservato le sembianze delle antiche walled city, piccoli agglomerati di case circondati da recinzioni murarie. Dopo un'ora di metro e svariati km a piedi, costeggiando per un tratto un campo di addestramento del glorioso esercito, arrivo finalmente all'agognata meta. Credevo di essermi sbagliato, invece era proprio quella la declinazione che Hong Kong avava dato alla parola storia: quattro muri, una porta di ingresso e all'interno palazzine che avranno avuto al più 40 anni. Se non del tutto soddisfatto, potevo almeno dire di averci provato. In più ero riuscito ad allontanarmi per qualche ora da quel mondo frenetico e inarrestabile del centro.


L'alternativa, se proprio questo è ciò che si vuole fare a Hong Kong, è respirare una boccata di storia e tradizione in pieno centro, a Sheung Wan, dove un piccolo tempio Man Mo costruito nel 1847 ha resistito indomito ai grattacieli.



Di seguito, qualche foto scattata fra il mercato di Yau Ma Tei e Mong Kok, luogo di perdizione per i nerd e i maniaci degli aggeggini elettronici.






 






mercoledì 4 dicembre 2013

Schizzinosi d'oro

Oggi sono stato al colloquio per fare il servizio civile internazionale.
Nove persone, tutti laureati o laureandi, tutti cercando di concorrere per quella manciata di posti e chissà quanti altri come noi.
Siamo stati insieme tutto il giorno, abbiamo chiacchierato e scherzato tanto e mi son trovato a mio agio, ma tra un dialogo e l’altro ci siamo detti quello che si fa nella vita. I pochi che hanno un lavoro è un lavoro che non c’entra nulla con le proprie peculiarità, aspirazioni o percorso di studio. La paga di una viene utilizzata quasi interamente per spostarsi da casa a lavoro. Un altro che ha accettato un posto a tre euro l’ora e via dicendo per gli altri.
Io mi son trovato nella condizione di essere il privilegiato per il lavoro ben retribuito che ho.
Mi fa incazzare tutto questo perché sono migliaia i coetanei che sanno che questo quadretto non è retorica ma è la prassi e la vivono tutti i giorni sulla propria pelle. E mi fa incazzare ancora di più pensare a tutti quelli che hanno dato ragione, in passato come oggi, a delle leggi, a delle spinte politiche e culturali che ci additavano come gli schizzinosi, come quelli che dovevano essere flessibili, come quelli che ostacolavano il futuro. Come quelli che la causa di questo era l’università pubblica. Erano gli sprechi. Erano le auto blu. Erano i bamboccioni.
In questi anni tutto è andato maledettamente veloce ma ciò che è successo aveva uno scopo ben preciso e cioè il tagliarci le gambe ed il futuro.  Nel frattempo ci facevano abbaiare contro dei casi nazionali, come quelli degli schizzinosi, bamboccioni, sprechi bla bla bla senza mai parlare dei problemi del sistema, solo problemi spot. E non sono stati i grandi nemici lontani i colpevoli. No! Tutto è stato avallato da quello che la maggior parte degli italiani vedono allo specchio, noi col nostro esser diventati intransigenti con tutto e quindi avallando tutto. Pensiamoci la prossima volta che soffiamo sulle vele di una polemica sterile o quando ci annoiamo ad ascoltare delle critiche un pò più complesse a una legge scellerata.
Oggi al colloquio la commissione non ci credeva che con gli altri candidati ci fosse stato un clima disteso e non concorrenziale. Forse non sempre siamo come ci immaginano, per fortuna.
E andiamo ancora di Bertoli. Mi sorprende come sappia dire sempre tutto.
Romba il potere che detta le regole
cade la voce della libertà
mentre sui conti dei lupi economici
non resta il sangue di chi pagherà
Italia d’oro frutto del lavoro cinta dall’alloro
trovati una scusa tu se lo puoi
Italia nera sotto la bandiera vecchia vivandiera te ne sbatti di noi
mangiati quel che vuoi fin quando lo potrai
tanto non paghi mai