martedì 26 novembre 2013

Si fa molto meno di quello che si potrebbe - Atto II

La sede del PAICG di Cacheu. L'inno del PAICG risuona spesso nei cellulari dei giovani che ascoltano musica per strada

Fino a tre-quattro giorni fa, abbiamo ospitato ad Artissal una riunione “segreta” del comitato della regione di Biombo del PAICG, Partito per l'Autonomia e l'Indipendenza di Capo Verde e della Guinea Bissau; è un partito diciamosocialista, lo stesso che ha condotto all'indipendenza l'intero Paese. Benchè la data delle elezioni non sia ancora stata fissata, i partiti principali stanno andando a congresso, e il PAICG pare essere il favorito.

I Pepel, ossia l'etnia dominante nella mia zona, sono tutti pro PAICG, oltre che la terza etnia più cospicua del Paese. C'era da immaginarselo, dato che l'altro principale partito è fortemente connotato dall'etnia che rappresenta, l'etnia Balanta, ed è nato pochi mesi dopo la fine della guerra civile, nel '99, rivendicando il ruolo determinante dei militari Balanta durante la guerra di indipendenza finita nel '73.

La figura principale del gruppo da noi ospitato è da individuarsi ne “O diretor”. E' il segretario regionale del partito, tutte le volte che si sono riuniti qui in passato arrivava un giorno prima di tutti e andava via un giorno dopo, concedendosi negli intermezzi momenti di “relax” dolcemente accompagnato da una varietà piuttosto ampia di concubine. Ha una voce roca, tipo Al Pacino in “The Godfather”, solo che è nero. Testa pelata, sopracciglia aggrottate, collo corto.

Le riunioni solitamente si svolgono con “o Diretor” che parla a bassa voce, e tutti che ascoltano religiosamente.
Questa volta però bisogna decidere il candidato da proporre al congresso nazionale del partito; lo schema che avevo già visto ripetersi alcune volte ne uscirà mutato.
Sono una quindicina i partecipanti alla riunione della scorsa settimana; pochi giovani, pochissime donne. Molte facce stanche, gli occhi e gli sguardi sono diversi da quelli della gente a cui ormai sono abituato qui; non sono così sorpresi di vedere dei bianchi in giro per il posto, dei bianchi che non conoscono.
Il summit doveva durare un giorno, è durato 5 giorni. Per la giornata annunciata abbiamo predisposto una sala con tappeti in moquette semovibile e aria condizionata. La giornata con i militanti termina, l'accesso ai lavori ovviamente mi è precluso nella maniera più assoluta. Un gruppo ristretto di persone continua le discussioni nei giorni seguenti, si stabiliscono a Quinhamèl passando le giornate in preda a a sbraiti, urla, discussioni concitate; cerco di stare da tutt'altra parte, onde evitare di sembrare lo spione che in questo tipo di situazioni, in realtà, sono.
La gente arriva e se ne va, avvicendandosi con una certa liquidità. “O diretor” ha una stampante che si porta sempre dietro con la quale ogni tanto stampa della roba e la distribuisce. Nei brevi momenti in cui assisto, ora con una scusa ora con un' altra, alle discussioni che adesso non si svolgono più al chiuso ma nell'area ristorante dell'ONG, capto pontificazioni sulle tattiche da tenere per vincere il congresso, ipotesi sulla situazione del partito prima delle elezioni, nomi di persone seguiti da cariche e da considerazioni sulle spartizioni di potere che queste cariche consentono, sugli equilibri da esse determinate.

Mi perdo clamorosamente l'incontro con i giornalisti dell'ultimo giorno, dovendo accogliere dei turisti inglesi di passaggio ad Artissal per andarsene poi a pescare alle Bijagos.
Il giorno dopo all'ambasciata brasiliana non si parlava di altro se non del fatto che gli unici pirla a non aver ancora deciso il candidato segretario (qua lo chiamano diretor) del partito che vincerà sicuramente le elezioni, erano quelli della regione di Biombo.
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Rimane il fatto che qui, fin quando non si va al voto, pare rimanere tutto fermo.

Con elezioni o senza elezioni, le ONG sul territorio qualcosa la dovranno pur fare.
L'altro giorno abbiamo affrontato il discorso con Mariana, la direttrice esecutiva della ONG, tornando in macchina da Bissau. “Embora, existimus”, dice con orgoglio battendo le mani sul coprivolante leopardato - “Nonostante tutto, esistiamo”. Nonostante anche il coprivolante. 
A detta sua, innumerabili sono le organizzazioni che si sono avvicendate sul suolo guineense, la cui esistenza è spesso legata alla presenza di finanziamenti da parte di governi, nazionali e sovranazionali, e istituzioni.

Artissal, al momento, non partecipa a nessun progetto; o meglio, quelli che c'erano si sono esauriti. La fabbrica tessile continua a lavorare e a produrre panni, la ONG continua ad ospitare turisti da tutto il mondo scarrozzandoli tra la balobeira, retta dal regulo del regno di Tor, le isole, e le altre organizzazione per mostrare il lavoro che quotidianamente viene fatto.
Il travaso degli introiti dall'attività turistica a quella di produzione di materiali, purtroppo, non potrà andare avanti per sempre.
Artissal partecipa ad un progetto di organizzazioni locali – Cabaz di Terra - in cui ciascuno vende i propri prodotti, alimentari, artigianali, manifatturieri. La collaborazione è suggellata dalla firma di una carta di principi che tutti si impegnano a rispettare (oh la traduzione del sito l'ho fatta io).
Il 30% del valore di quanto viene venduto viene lasciato a Cabaz, perchè possa autosostenersi; ma tra un barattolo di miele e un panno a otto bande fatto a mano c'è una differenza di prezzo notevole.
Non solo: dopo un lungo lavoro di inventario fatto a partire da quando siamo arrivati qui, abbiamo scoperto (dopo 2 anni che esiste Cabaz!) abbiamo scoperto che solo Artissal cede la percentuale pattuita, mentre gli altri ammortizzano aumentando il prezzo del prodotto della stessa percentuale. Estiquatzi
In più, la cessione del 30% probabilmente non è sostenibile dal punto di vista economico (l'ipotesi deriva dal fatto che ancora non esiste una verità univoca su quanto si spenda per produrre un panno, tanto che sono incasinati i conti e tante che sono le entrate e le uscite della ONG su canali differenti).

Artissal ad oggi è l'unica a pagare l'affitto del negozio; ciò rende l'attività praticamente infruttuosa e incapace di creare utili da reinvestire in un'ottica di crescita, e tanti saluti carta di principi.
Eppure esistiamo. Appesi ad un filo ma esistiamo. Ci ingegniamo in tutti i modi per vendere i prodotti; devo dire che il materiale informativo è tanto e ben fatto.
E per quanto la produzione sia rigorosamente popolare, purtroppo non lo è la fascia di consumo; i prodotti del mercato di Bandim sono molto meno costosi, buona parte sono importati, ma qua non c'è troppo da fare gli schizzinosi.

Intanto, qualche giorno fa siamo stati alla delegazione dell'Unione Europea dove Madlaine, funzionare Belga appassionata del lavoro della nostra ONG ci accoglie con piacere e fa di tutto per intercedere presso il delegato e ottenere uno spazio sotto Natale con l'intenzione di farci organizzare una piccola fiera, vendendo alla gente checciàlisordi. All'interno la delegazione dell'Unione Europea, che ha pari dignità rispetto ad un'ambasciata, sembra una casetta scandinava – anche per il freddo derivante dai condizionatori a palla. Qua Mariana conosce tutti, e saluta calorosamente un funzionario che durante la guerra si era barricato con lei in questo angolo del Vecchio Continente, dopo il saccheggio della delegazione stessa e con le bombe che fuori scoppiavano.
La riunione è molto gradevole, l'ambiente è gradevole, c'è anche una stagista italiana. Parliamo per lo più portoghese e francese a tratti, quando Madlaine molla il colpo. Anche i modi di fare sono gradevoli e sono molto europei, anche se messi in pratica da guineensi. Come è guineense la bellissima segretaria di Madlaine, che ci invita ad un'esposizione che si è tenuta oggi e si terrà domani al centro culturale franco-guineense; l'esposizione si concluderà domani con un dibattito sul futuro della Guinea con i temi toccati da Horizon 2020. L'idea è dei bianchi chiaramente, e oggi più di metà degli astanti erano occidentali fricchettoni o funzionari, in cerca di souvenir per il ritorno in patria o di gente con cui fare un po' di pubbliche relazioni. Benche su 4 ore di esposizione, 3 le abbia passate in giro per la regione di Biombo con l'ormai fedelissimo pickup a sbrigare faccende e a scarrozzare gente da una parte all'altra, mi sembra che alle iniziative che si svolgono negli ambienti più istituzionali manchino quelle persone che si pretende di sollevare dalla loro condizione di miseria e sottosviluppo, e che molto spesso sono del tutto ignare di quello che si muove a livello di comunità internazionale - conoscono le ONG che erogano servizi direttamente al cittadino al posto di uno Stato irresponsabile e poco lungimirante.

La prossima settimana ospiteremo un seminario di una settimana con 40 persone dello United Nation Developement Programme; pluri-rimandato, la maggiore preoccupazione al momento è quella di dare da mangiare a tutti. Pagano le Nazioni Unite, e lo UNDP locale deve spendere soldi per chiudere i progetti, quindi in realtà non c'è da formalizzarsi troppo.
Sempre dallo UNDP è uscito un progetto sullo sviluppo degli strumenti di partecipazione democratica, partirà con lo nuovo governo ma il bando scade a dicembre. Mariana vuole parteciparci, e in questi giorni si parla molto di cosa infilare nel progetto per provare a dare una botta di vita alla rete di organizzazioni con cui lavoriamo, e portare a casa il dinherito che può raggiungere il 400.000 USD.
Se il progetto lo vinciamo, puoi rimanere - così hanno detto. E' una settimana che accarezzo l'idea; l'impressione è che si fa molto meno di quello che si potrebbe, si iniziano mille cose al giorno e se ne finisce la metà; le barriere (linguistiche, relazionali, conoscitive) vanno mano a mano abbattendosi, e per quanto il nuovo progetto durerebbe 2 anni, l'idea di farmi altri 6 mesi aspettando quindi un anno per iniziare la specialistica non mi dispiace. Diciamo che ero riuscito ad evitare di sentire la mancanza dell'Europa – e di quello che almeno credo essere il mio mondo – fino ad ora, ma tra le nubi che incombono su quello che ho fatto negli ultimi 3 anni, l'idea di lasciare gli studi per altri 6 mesi e l'ipotesi di partecipare ad una cosa che sembra grossa e interessante qualche pensierino nella testa brulica. 
Volente o nolente, la deadline è la fine dell'anno solare.
Intanto mi preparo al Natale a 30 gradi, e sopratutto a passarlo in luogo in cui mai avrei pensato di passarlo, qualunque esso sarà; in ogni caso non sarà il posto che ho sempre chiamato “casa”.



Note a margine:

- Molti africani pensano che l'Africa l'abbiano scoperta i portoghesi nel XV secolo, alla faccia di Scipione l'Africano e delle aree della cartina definite come "Hic Sunt Leones";
- Molti adolescenti qui non sanno cosa sia un telefono fisso;
- Alcuni consoli dei consolati onorari in GB sono Libanesi, tipo quello della Romania;
- In criolo per dire “persona qualsiasi” si può usare il vocabolo “pekadur”;
- Le suore brasiliane non indossano la “divisa”, e ci provano di brutto

lunedì 18 novembre 2013

Si fa molto meno di quello che si potrebbe - Atto I

L'inspiegabile passione dei guinensi per i calciatori italiani. Ho cercato di spiegare a un mio amico di qui che non può pretendere che lo chiami Alessandro Nesta, ma il post di Sbatti forse è sufficiente perchè incominci a farlo

In ogni caso qualcosa la si fa. E certo non pretendo di risolvere in qualche considerazione il dibattito atavico tra cos'è meglio - tra il poco che intorpidisce e il niente che scioglie le briglie dell'iniziativa.
Rimane l'impressione che in potenza si potrebbero fare un sacco di cose, ma che per un motivo o per un altro, non le si fanno.
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Il barcone per Bubaque, una delle più grandi dell'arcipelago delle Bijagos, incute il timore delle tragedie costiere dell'Italia nostra, anche perchè il viaggio costa solo 3500 franchi CFA e cioè poco più di 5 euro. Sette ore di tragitto – che potrebbero tranquillamente essere meno, se solo il barista non allungasse mazzette al capitano per allungare giro per incassare più proventi dalle bibite.

Le acconciature femminili sono tra le prime cose a catturare l'attenzione; grandi trecce raccolte sulla testa e dreadlocks di ogni dimensione, capelli africani stirati dalla soda caustica o intrecciati con fili sintetici coloratissimi.
Una giovane donna è appoggiata alla ringhiera più esterna della prua, il suo sguardo triste affascina. Chissà chi la aspetta, e chissà chi sta lasciando. Un ragazzo australiano incontrato qualche giorno prima a Bissau è l'unica faccia conosciuta, lo accompagnano delle ragazze danesi che riflettono il sole altissimo del primo pomeriggio. I ragazzi della missione cattolica cantano, ballano e rompono il cazzo per tutto il viaggio, aggiungendosi alle casse che trasmettono musica rap guinense in crioulo - e non mi felicito troppo di riuscirne a comprendere i contenuti. Gli scout guineensi suonano djimbè e ballano per salutare la barca in partenza, e chissà perchè lo fanno. Tutte le volte.

Sono indeciso se girare per il barcone e scambiare parole con gente a caso, o comportarmi da vero “diverso”, tirare fuori Antar di Wu Ming 2 e finire di leggere quello che rimane di questa “storia meticcia” a metà tra l'Italia e l'altra costa del continente nero.
A fare breccia nella mia consapevole diversità è prima la chitarra di Nicholas, poi l'approccio di Adriano, 35enne guineense cresciuto nella missione cattolica italiana, e che lavora nella principale radio del Paese, Radio SolMansi (in criolo Radio solechesorge).
Adriano parla un po' di italiano e mi intrappola in una conversazione piena di birrette e conseguente sudore; evito sempre di dare troppa confidenza, purtroppo qui essere bianchi significa ricevere numerosi approcci e veri e propri assalti; l'impressione è che chiunque – donne o uomini che siano, in cerca di matrimoni o amicizie entrambi destinati a durare “desde agora para sempre” (cit.) - cerchi da te qualcosa in più rispetto alle relazioni normali cui siamo abituati più o meno tutti, lasciando la sensazione poco gradevole di non riuscire a creare rapporti che esistano in virtù di quello che sono: dei rapporti tra persone. Pur diversamente rispetto a quanto succede in Europa con gli africani – o per lo meno in Italia – ogni istante ti ricorda che sei diverso, per quanto ti sforzi di parlare criolo, di aggiungere un sutaque africano al tuo portoghese e di prendere un po' di colore sotto il sole; tutte e tre le cose producono solo effetti disastrosi sul tentativo di omogenizzarsi alle masse, rendendoti solo più diverso e irrimediabilmente buffo.
Per evitare di parlare troppo, inizio a fare domande. Che ne pensi della Guinea Bissau, che ti pare che si possa fare qui per migliorare un po' la situazione.

La Guinea Bissau non produce niente, il riso è pakistano, il pollo europeo, il pesce se lo comprano i cinesi che in cambio non si dedicano al landgrabbing o alla liquidazione di ingenti risorse nelle casse dello Stato, ma costruiscono infrastrutture, ripropongono un'austera statua di Amilcar Cabral che sembra un pupazzo della lego in piombo (la precedente era stata trafugata da una delle piazze principali di Bissau durante la guerra civile, ora probabilmente sarà in casa di qualche mercenario senegalese).
La risposta di Adriano è l'inizio di una lunga conversazione attraverso corruzione, possibilità imprenditoriali inesplorate dai guineensi (la Crystal la vendono tutti a 500 CFA? E io apro un chiosco e la vendo a 400. E vedi i soldonazzi), elezioni imminenti da anni, emigrazione.
Uno dei suoi progetti consta nel dotare il Ministero di Giustizia di stampanti in grado di consegnare passaporti con maggiore rapidità di quanto non lo facciano ora, probabilmente per creare un ostacolo ulteriore alla fuoriuscita di guineensi dal Paese. Per quanto il tentativo di coinvolgimento in questa missione da parte di Adriano non attecchisca granchè su di me, non è il primo a dirmi che dopo le elezioni i soldi per i progetti che possano essere sviluppati da ONG fioccheranno. La comunità internazionale avrà più garanzie da un governo legittimamente eletto, e potrà tornare qui con il suo occhio vigile e con le sue mani bucate a elargire fondi e a gridare “sviluppatevi!”. Ma, benchè la settimana scorsa il settimanale (non esistono quotidiani) “No pintcha” - vicino all'opposizione e con una tiratura di 1000 copie per un Paese che ha la stessa popolazione dell'hinterland milanese - riportasse la notizia di due milioni di euro di finanziamento dall'UE per avviare il processo elettorale entro il primo trimestre del 2014 rimane una grande sfiducia generalizzata nella possibilità di andare al voto in tempi brevi.
Impossibile pagare le birrette con Adriano.


A Bubaque la prima cosa che si vede entrando in paese è un grosso cartello di Mani Tese – una ONG italiana tra le più longeve vicinissima all' “area progressista” della Chiesa Cattolica Romana Apostolica – che a lettere cubitali recita “Bubaque cidade aberta”, citando il capolavoro di Rossellini. Ho conosciuto i cooperanti di MT tempo fa, hanno progetti ovunque in Africa Occidentale. Sono tutti italiani, alcuni di loro sono qui da più di 3 anni; in buona parte dei casi si occupano di riciclaggio e smaltimento di rifiuti. Benchè i consumi in generale siano piuttosto ridotti, e benchè i mercati “na rua” siano poco invitanti ma poco avvezzi al packaging eccessivo, il problema dello smaltimento dei rifiuti esiste eccome. Le strade straripano di plastica, e nei mercati è facile incontrare delle barricate di immondizia destinate alla combustione, la sera stessa. Gli odori che ne derivano sono penetranti e i fumi densi, i braceri di notte sono tra le poche fonti di luce insieme alle luci al led provenienti dai “negozi” aperti tutta la notte. Nei villaggi o tabancas per ogni casa (o gruppo di) si scava un buco, che verrà poi riempito con tutto ciò che ci si aspetterebbe di buttare in un cassonetto. Oltre all'inconveniente relativo alle frequenti visite delle iene, la cui potenza mandibolare giunge sino alle mie orecchie nelle notti in cui i ridenti quadrupedi decidono di farci visita, la questione rappresenta un problema non da poco, benchè non sembra che ci sia grossa consapevolezza in merito. Qua si fa così.

L'esempio di modello di cooperazione di Mani Tese sembra essere vincente: i responsabili dei progetti sono nella maggior parte locali, ci sono anche coordinatori e cooperanti italiani, in Italia si creano partenariati con le Università italiane per studiare metodi e risoluzione di problemi (in questo caso, Ca' Foscari) e le soluzioni vengono implementate da chi lavora sul campo.
Mani Tese ha una barchetta a motore che collega l'isola con il continente, un ufficio tutto bello pitturato e pieno di tavoli e computer senza utilizzatori.
A Bubaque, per ora, si continua a bruciare i rifiuti. E chissà in quanti altri posti.

Esistono moltissime ONG occidentali in questa zona, e un'altra di queste è la IPHD (International Programme for Human Developement, USA). La IPHD funziona così: USA sceglie i progetti e li finanzia, i responsabili dei progetti sono tutti locali o selezionati attraverso bandi in Europa. I coordinatori dei progetti in genere sono parenti di ambasciatori o diplomatici. Se IPHD decide di finanziare la costruzione di una mensa scolastica per incentivare l'affluenza scolastica tra i bambini e sopratutto tra le bambine (il rapporto è 83 bambine scolarizzate per ogni 100 bambini), il team locale fa un sopralluogo, comunica oltreoceano quale sarebbe la soluzione più funzionale per adempiere agli scopi del progetto, e dagli USA arrivano materiali di costruzione e cibo. Mandano pure il riso. C'è chiaramente qualcosa che non va.
In ogni caso, la città è piena di SUV bianchi con i vetri fumè appartenenti alla IPHD, che comunque c'è da dire che monitora con una certa assiduità il buon rendimento dei progetti. E per quanto arrivino dagli USA a peso d'oro, i sacchi di riso spesso spariscono e le mense scolastiche funzionano solo nei giorni in cui arrivano i controlli dei SUV bianchi che scorazzano di villaggio in villaggio.

Buona parte delle ONG qui lavora solo con i progetti, pochissimi sono i progetti autosostenibili economicamente; da questo punto di vista fanno eccezione i progetti come quelli di AIDA, ONG spagnola che si occupa di fornire supporto agli ospedali pubblici (a Bissau ce n'è uno solo, il Simão Mendes) che ho conosciuto durante una conferenza venerdì scorso. Ho capito, oltre al fatto che effettivamente quando gli spagnoli parlano in portoghese non si capisce bene che lingua parlino, che per per quanto si possa fare il possibile e l'impossibile per migliorare le condizioni della gente di un posto dove si muore per una febbre e dove l'HIV viene fatta curare dagli “Iran” e non dai medici, con riti sacrificatori al posto dei retrovirali, i governi mancano moltissimo di responsabilità non supportando nulla dal punto di vista economico. Il progetto di AIDA terminerà a fine anno con i tagli del governo Rajoy alla cooperazione, e le slide che seguono il video riassuntivo del progetto altro non sono che un grosso appello al governo, di cui sono presenti alcuni rappresentanti del Ministero della Salute, e alla comunità internazionale. La cooperazione a un certo punto, per essere portata avanti, deve diventare politica governativa; quando finiscono i progetti, molto spesso insieme ad essi si estinguono delle speranze.






domenica 17 novembre 2013

Il fattore C (CDM)


Cari Palle,
Sono da sei mesi in Medio Oriente. È tempo di tirare un po’ le somme. Sto bene, molto meglio rispetto ai primi mesi di incertezze e dubbi. La vita scorre tranquilla tra weekend di relax e settimane di inteso lavoro. Una vita della quale lamentarsi sarebbe un insulto al precariato o un romantico sussulto giovanile, una critica futile ed ideologica ad una sana vita, chiamamola così, piccolo borghese che nessuno disdegnerebbe. Soprattuto di questi tempi di crisi.
Ma non voglio buttarmi nelle nostre polemiche da bar in cui il senso della vita era nella lotta di classe infarcita da intercalare filogini (gnocca e socialismo per intenderci..) e supercazzole. Vi voglio raccontare brevemente come sono finito qui. La storia alcuni la sanno altri no. Ma i retroscena li ho scoperti solo ieri.
In Francia quando mi fecero firmare il contratto da stagista poco più di un anno fa mi dissero: “ Con la pressione fiscale che vuole introdurre Hollande ed i tagli previsti, ragazzi mio, il contratto è difficile che te lo rinnovano..”. Cominciamo bene. Mi fecero capire che se volevo qualcosa me lo dovevo andare a prendere. Sii proattivo era il motto. Il che non significa sgomita, significa fatti valere per quello che sai fare, dimostralo e non avere timori.
A Febbraio mi minadarono a Nizza per un meeting internazionale e mi fecero capire che lì potevo giocarmi le mie carte. Lo feci presentandomi a tutti i manager possibili. Parlai con i manager di Germania, Spagna, Inghilterra, Francia ma la storia era sempre la stessa: “We are cutting costs and there are no openings..”. Eppure non mi manca nulla, ottimo CV, sei addirittura già dentro l’azienda, il potenziale ti viene riconosciuto da tutti i tuoi colleghi. Perché nessuno mi dà una chance?
Non ho mollato e mi sono allontanato dalla mia zona di conforto, l’Europa, ed ho approcciato altri lidi. Durante un coffee break un gruppo giovane rispetto ai canuti boss ai quali ero abituato si avvicina. Chi sono? Il team del Middle East: Le ore passate a studiare arabo a Tunisi, gli incoraggiamenti dei miei amici libanesi, le sere trascorse a vedere e rivedere Aladin, l-albero genealogico di Karim mi spinsero ad alzare il culo e tentare l’ultima carta. Caso volle che la prima manager che incontrai era spagnola ed un anno di Saragozza a sparlare itagnolo con Giovanni tornò utile. Caso volle che costei mi reindirizzò ad Elena, pezzo grosso della nostra azienda in Medio Oriente che mi disse: “Piacere, mi dispace al momento non abbiamo nulla ma forse tra qualche mese...chi sei? Dove hai studiato? Che sai fare?”. Caso volle che Elena avesse fatto il mio stesso Master a Grenoble e che quindi conoscesse già la mia formazione. Quattro chiacchiere e la promessa che mi avrebbero fatto sapere. Mando il CV.
Passano tre settimane ed il silenzio non è rassicurante. Mando un reminder ad Elena che mi dice: facciamo una chiamata lunedì alle 8. La chiamata dura 13 minuti, non un’intervista ma una presentazione del lavoro. “Ti andrebbe di fare questo lavoro Conte?” Ed io:” Ovviamente sì” omettendo la mia disperazione e la mancanza di alternative. “Va bene ci risentiamo..”.
Come sapete una settimana dopo mi comunicarono che ero stato assunto.  Lo stupore era enorme. Perché me e non altri, perché ero stato assunto quasi senza colloquio? Ieri sera dopo un drink i retroscena sono venuti a galla: “Perché tu? Perché hai perseverato e sei stato l’unico stagista tra i tanti presenti a quel meeting a Nizza che si è presentato ed è stato intraprendente. Non ti ho fatto un colloquio lungo perché avevo ricevuto buoni feedback su di te e mi bastavano. Già ti avevo incontrato poi, non mi serviva altro..però ero in dubbio tra te ed un altro candidato. Poi, il giorno della decisione finale, Joseph (il mio boss a Grenoble) si trovava a Dubai e venne fuori il tuo nome. Mi parlò molto bene di te e quindi io e Gloria ti scegliemmo. Come si chiamava l’altro candidato....Joey, si chiamava Joey..”
Joey è uno dei miei amici più cari di Grenoble. Più bravo di me, lo ammetto. Ieri mi sono sentito un po’ in colpa. Io ho superato inconsapevolmente un mio caro amico che sta cercando in tutti i modi di venire a lavorare a Dubai per una catena fortuita di casualità: il fatto che mi avessero concesso di andare al meeting di Nizza, ed a lui no. Il fatto che io parlassi spagnolo e che avessi fatto lo stesso master di Elena, elementi empatici che non si possono sottovalutare in un processo di selezione. Il caso che Joseph, che a Dubai non aveva mai fatto un business trip si trovasse al posto giusto al momento giusto...

Traiamo le somme: è pur vero che la fortuna aiuta gli audaci ma che sia cieca non si può negare. La vita si gioca in pochi istanti ed in momenti di svolta. Mai lasciarseli scappare. Ma non possiamo calcolare o prevedere nemmeno un centesimo della catena di eventi che conducono le nostre vita. Ci è concesso solo perseverare, perseverare e lavorare bene. Perché l’Italia è l’eccezione che conferma la regola. Il buon lavoro all'estero paga... con un po’ di culo.

sabato 16 novembre 2013

MUCHO GUSTO...


Come sapete in America Latina all`anagrafe tutti devono avere due cognomi, quello del padre e quello della madre, e due nomi. Ció ha dato la possibilitá ai genitori di sbizzarrirsi, e dare qualsiasi tipo di nome ai propri figli. Vi propongo quindi una carrellata dei casi piú incredibili di cui sono venuto a conoscenza.


Spesso i nomi sono specchio della societá, se a Napoli negli anni '90 sono nati un sacco di Diego,Armando e di DiegoArmando, in compenso in Ecuador si possono trovare un sacco di Stalin e Lenin, per non parlare di Adolfo Hitler come da prova fotografica, fino ad arrivare al famoso Hitler Stalin, figlio del signor Hitler Fluver Corral Saldarriaga. Io personalmente ne ho conosciuti un sacco! Ma questo é solo l'inizio. 



La regione piú gravida di soprese é sicuramente Manabí, regione costiera abitata principalmente da afrodiscendenti, dove a quanto pare ai genitori non importa una cippa dei traumi psicologici che un nome bizzarro possa causare ai figli. La cosa é talmente generalizzata che il governo é dovuto intervenire, infatti l'articolo 78 della legga del Registo Civile recita che:


Queda prohibido emplear en la inscripción de un nacimiento, como nombres los que constituyan palabras extravagantes, ridículas o que denigren la personalidad humana o que expresen cosas o nociones, a menos que su uso como nombres se hubiere consagrado tradicionalmente.


Dai nomi per esempio si puó capire il risultato della squadra del cuore del padre: si va dal Dos a Uno Angulo, al Victoria Apretada Obregón Carrera, passando per il piú diplomatico Justo Empate Enríquez.

I nomi possono anche esprimere desideri o buoni auspici, non parlo di parole altisonanti o immaginifiche come i nostri Grazia, Gaia o Benedetta. Qui la gente é molto piú pratica! C'é chi pensa solo ai soldi, possiamo trovare infatti Onedolar (da leggere rigorosamente come é scritto), oppure chi invece pensa che il segreto della felicitá risieda nella macchina che guidi, cosí dovevano pensare i genitori del signor Land Rover García. Oppure, chissá, il nome dipenda da dove é stato concepito il bambino.

Il nome ci puó anche raccontare una storia, di come si é arrivati a consumare l'atto, cosí si potrebbe pensare sia capitato con il signor Exquisita Pílsener, oppure a come si devono essere sentiti i genitori il giorno dopo, e potrebbe essere questo il caso dei signor Alka Seltzer Solórzano e Vick Vaporoup Giler. Non tralasciando peró di dare un giudizio di valore dell'atto in sé, vero signora Cabalgata Deportiva Vera?


Anche il tempo gioca un ruolo importante in questo elenco, inteso sia come calendario ma anche come contestualizzazione geopolitica. Mi spiego meglio, cosa pensate che possa passare per la testa di un genitore che chiama il proprio figlio Martes Trece Santana, Año Bisiesto Owen, o Puente Vacacional Alcívar? 

Evidentemente c'é qualche genitore appassionato di politica e di relazioni internazionali, altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza dei signor Conflicto Internacional Loor, Himno Nacional Salgado (sicuramente molto nazionalista), John Kennedy Minda e per non farci mancare nulla pure Richard Nixon Quiñonez!

Ce n'é per tutti, sei un fan sfegatato degli USA? Ecco qua il signor Houston Texas Ponguillo Loor! E se sei pure appassionato di musica eccoti servito un bel Michael Jackson Quiñonez, mentre se invece ti viene fame possiamo servirti un ottimo Burguer King Herrera!

Ce ne sarebbero molti e molti altri ancora, ma voglio lasciarvi con quelli che a me sono piaciuti di piú e che, sicuramente, non necessitano di nessun commentario:

Perfecta Circuncisión Hidalgo

Cristo Crucificado Cañarte

Semen de los Dioses Bazurto Quesada




martedì 12 novembre 2013

Di rivoluzione e di dissenso

People's Recreation Community, Hong Kong - http://www.peoplebookcafe.com/

Dopo aver parlato delle prime impressioni su Hong Kong, credevo che  avrei scritto del mio onesto impiego da fattorino illegale per le frenetiche strade della città e fra i casino di Macao. Invece l'essermi già sfogato con qualcuno ha dissipato questo bisogno, per ora. C'è anche da dire che al momento quel che c'era da consegnare è stato consegnato e di lavoro ce n'è poco. Intanto, la mia stanza funge da magazzino e fra uno scatolone e l'altro puoi trovare un calzino sporco, un obiettivo o il letto.

Oggi voglio parlare invece dello strano posto in cui sono finito stamattina. Nascosta fra un grattacielo e un altro, fra un mega centro commerciale e un negozio della Rolex, un'angusta scala conduce al primo piano di un anonimo palazzo. Qui su una delle due porte campeggia il volto stilizzato di Mao e la scritta Peoples Recreation Community. Entrarvi, lasciandomi alle spalle le gomitate date e ricevute per percorrere qualche metro, i clacson e le luci da epilessia fulminante è una boccata d'ossigeno. Al suo interno fra le pareti tappezzate di libri e  i poster di propaganda comunista tre tavolini ai quali siedono due donne e due uomini, sulla testa più i capelli bianchi di quelli neri. La musica bassa, permette di leggere. Chiedo un tè a una giovane ragazza seduta dietro a un piccolo bancone e comincio a guardarmi intorno.

Qualcuno ha definito questo posto un centro del dissenso. Questo mi viene confermato dalla ragazza che dopo avermi preparato la teiera accetta di scambiare due parole, nonostante l'inglese stentato. Quei libri che riempiono gli scaffali sono infatti libri censurati dal regime cinese, introvabili sul continente. I cinesi vengono qui per sedersi a leggere ciò di cui non è dato loro sapere. In alcuni casi li comprano e portano con se, di nascosto dalle autorità.

Sui due ripiani della sezione inglese titoli quali 'Mao, the unknown story', 'People's pornography', 'The end of the revolution', 'God is red', 'Escape from Camp 14' e 'Bridge to Tibet'.

Dalle facce dei presenti non ho l'impressione di trovarmi in compagnia delle stesse persone in fila davanti Prada o Hermes, ma il campione è piuttosto ridotto per farsi un'idea. Mi stupiscono il gusto, curato e affatto pacchiano, dell'arredamento, la selezione musicale di sottofondo fra cui distinguo delle sempreverdi Spice Girls, il latte in polvere in vendita fra un poster di Mao e una bacheca di orecchini d'argento.

Finisco il mio tè, prendo qualche appunto e chiedo di scattare delle foto. Inaspettatamente mi rispondono letteralmente che sono libero di fare tutte le foto che voglio. Forse dei presenti nessuno viene dalla Cina, forse semplicemente non gliene frega nulla. Non fosse dall'altra parte della cittá, a 6 fermate di metro da casa, ci ritornerei nel pomeriggio, magari dopo aver recuperato una felpa per ripararmi dall'aria condizionata, probabilmente impostata sulla modalità 'freddo polare'.

domenica 10 novembre 2013

In un'auto ci sono un Israeliano, un ebreo Iraniano e un Italo-iracheno...

Suona come l'incipit di una barzelletta berlusconiana, quelle di cattivo gusto, ma si tratta dell'ennesimo viaggio carpooling attraverso le Alpi, da Milano verso Monaco di Baviera.


La mattina del 12 Ottobre ho appuntamento presso Lambrate per un passaggio organizzato. Sapevo già nome e cognome dell'autista; e già sapevo la sua nazionalità poiché da un po' di tempo prima di ogni viaggio eseguo sempre quello che io chiamo il ''controllino''. Una semplice ricerca su google per avere qualche info sulla persona con la quale mi appresto a fare un viaggio di almeno 5 ore. Maschio, nato in Russia ma cresciuto a Tell Aviv, studente a Pavia. A Lambrate si presenta anche un altro tipo milanese; basso, tarchiato capello unto e un po' lungo, barba di 10 giorni e così a colpo d'occhio mi ricorda Piero Ricca. Manco siamo saliti in auto che questo chiede all'autista con lo stesso tono con cui ordinerebbe un kebab: ''sei israeliano? allora sei ebreo? allora parli ebraico''?  Il tipo un po' in imbarazzo risponde sì a tutte e tre i quesiti.
Partiamo. Siamo a Verona quando il milanese, che dirà di chiamarsi Dario solo alla meta, inizia a raccontare che lui va a Monaco tutte le settimane, tutti i venerdì facendo attenzione a giungere in città prima del tramonto, o meglio prima che sorga la prima stella della sera. Parla e racconta, racconta e parla. Dice che ogni fine settimana è invitato a cena dal rabbino capo di Monaco, racconta di conoscere bene ''Frau nn so bene chi,'' Presidentessa della Comunità Ebraica di Germania... (alias le Ceneri di Angela penso io). Deve essere un pezzo grosso pure lui penso io. Oppure è più semplicemente un opportunista, un commerciante che consuma la sua focaccia fredda in piedi in autogrill per nn consumare e spendere mentre io gli noto una catenina al collo con lo scudo di Re David. Dice di essere sposato con una donna ebrea, ha un figlio di 8 anni che vede solo il finesettima e poi il lunedì ''ognuno torna a fare la propria vita.'' Questa vita di carpooling lui la fa da parecchi anni.

L'Austria con la sua aria liberale ci induce a parlare di politica: Il commerciante ebreo, ancora non mi aveva detto di essere iraniano, inizia una discussione partendo dal concetto che Berlusconi ha fatto anche del bene per questo paese. E avrebbe potuto farne ancora se lo avessero lasciato governare. Un esempio su tutti è lo ''scudo fiscale''. Noto un certo malessere da parte dell'Israeliano accanto che su tutto sembra essere un tipo dotato di intelletto. Ma io non reagisco, anzi assecondo trovando addirittura elementi utili a sostenere le tesi del nostro Dario di Pasargade. Ovviamente social-conservatore come buona parte degli ebrei italiani dice che Grillo è un folle e che la sinistra dovrebbe decidersi a lasciar vincere Renzi perchè quello è il destino della politica italiana: la convergenza verso il centro. ( un ritorno alla gloriosa DC insomma).

Poi finalmente la domanda clou: ''Karim..eh? mi suona familiare. Di dove sei?''.Cerco di tergiversare facendo notare a tutti i miei compagni di viaggio le mutevoli tonalità autunnali del paesaggio bavarese, un incanto. Allora decido di giocare la mia carta:''raccontoavolopindarciosenzacaponècoda'', una specialità tutta mia. Incomincio col '73, non tanto per parlare della Guerra del Kippur ma per raccontare dell'arrivo di mio padre in Italia, proprio a Pavia, così da potermi riagganciare all'esperienza di vita del nostro studente israeliano. Con un salto temporale gli dico che io sono amico di un paio di israeliani studenti di medicina, dei quali non ho nemmeno il contatto FB. Mi dicono che il padre di uno di essi è uno stimatissimo primario di Gerusalemme, mi collego allora ad altri nomi fino a sottolineare  il clima liberale nel quale il Dott. Alissa ha scelto di crescere la propria prole, decidendo far  battezzare tutti e tre i figli e far prendere loro i sacramenti benché egli fosse un tempo musulmano. ''Sì ma appena appena sunnita...quel tanto che basta.'' Concludo in fine con qualche affermazione per sostenere il personalissimo punto di vista liberal-berlusconiano del nostro beniamino discendente di Serse. Siamo oramai alle porte di Monaco...
Non mi sono mai venduto così tanto. E così bene.

domenica 3 novembre 2013

Work work, money money. Ovvero, l'altro lato del mondo



Hong Kong, ore 4. Al secondo giorno in citta', il cambio di fuso non mi da tregua. A dispetto delle previsioni, mi sveglio nel cuore della notte e non riesco a riprendere sonno. Fuori la citta' tutta dorme, non passano auto, nessun ubriacone che rompe una bottiglia di vetro, nessuna sirena spiegata di una volante o di un'autoambulanza. Niente, solo il silenzio di una citta' che riposa, perche' domani sara' un altro lunedi, bisognera' fare altri soldi prima che qualcun altro li faccia al posto tuo.

La quiete di Kabala o di Soviepe, quartiere alla periferia di Lome', rivive come il film Babel nella mia testa, mentre cammino per le sfavillanti strade di Hong Kong. La flemma dei pigri venditori di ciarpame ai bordi di strade polverose dell'Africa e il passo rapido di uomini d'affari in giacca, cravatta e occhi a mandorla. L'idea che un'azione degli uni possa cambiare la vita degli altri ha il fascino della complessita' compresa in un istante.

In realta' di occhi a mandorla da queste parti se ne vedono relativamente pochi. Negli ultimi lustri la citta' ha visto un afflusso di imprenditori, commercianti e bassa manovalanza senza precedenti, attirati dal miraggio del paradiso fiscale, dell'iva che non esiste, della continua crescita. Metafora di questa crescita sono i grattacieli tirati su come fossero castelli di carte, da uomini equilibristi su impalcature di bambu'.

Le strade sono dunque affollate di occidentali, indoasiatici, anche cinesi, ma quelli ancora non riesco a distinguerli. Li riconosci solo perche' la domenica li trovi in fila davanti alla vetrina di Hermes, Gucci o Prada. Fremono dalla voglia di spendere milioni di HK dollars, di essere sodomizzati dal consumismo del vicino che li disprezza. 


Io prima di disprezzare loro, le insegne luminose che occupano intere facciate dei grattacieli, il bisogno primario di arricchirsi sacrificando la propria vita, il sessantenne lampadato a cena con una sventola che potrebbe essere sua figlia, aspetto che due giorni siano divenuti due settimane, magari mesi.

sabato 2 novembre 2013

Pisani e Pagode (CDM)


Cari Palle,
Mi sembra che la nostra creatura bloggistica semifaceta stia crescendo e vederla maturare mi rende gaudente. Il sogno di un mondo migliore, la nostaglia, la paura e la curiosità, le debolezze (nonché le frustrazioni) accompagnate da sforzo creativo italico. Che lo sforzo sia con noi, sempre.
Seppure lontani e dispersi nel mondo, non siamo altro che lo specchio del nostro Paese. Nel nostro piccolo siamo quell’Italia in preda a fibrillazioni ed in cerca di un cammino, di un’identità, di un futuro. La maggior parte delle volte senza una meta precisa, trasportati da eventi che non avevamo nemmeno immaginato .
Ciccio a sturare le tubature degli oleodotti Algerini e Tunisi, la sua barba lo proteggerà da Al’Qaeda nel Maghreb Islamico. Bernardinho affetto da Mellonite pigmentosa fotografica ad Artissal, al primo contatto con il futuro mal d’Africa e con o futebol preto. Mellone nel glorioso Esagono in riflessione sull’emarginazione occidentale ed in partenza verso mete ignote..le voci dicono Hong Kong. Michelino che tra una birra, un libro di econometria si imbatte nella Quito animalesca, sfaccettatura dell’umana natura. Ferma lotta nella speranza che il sindacalismo italiano sia ancora un nobile sentiero verso il Sol dell’avvenire. Karim, non pervenuto, che in preda al bradipismo cosmico ancora non ci ha deliziato con una supercazzola degna del nostro Blog. Uno spettacolo emozionante ragazzi.
Permettetemi di alleggerire però i toni. Del resto la leggerezza del primo mondo non è sempre un peccato mortale. Vi racconterò di qualche perla dei miei 6 giorni in Thailandia.
Dopo un mese di lavoro matto e disperatissimo mi sono concesso una scappata in Oriente con il mio vicino siriano. Il mitico Morice. Mia madre quando le ho detto che andavo in Thailandia con un siriano mi fa:”beh, te la sei scelta bene la nazionalità del compagno di viaggio..vedrai che lo fermano alla frontiera e non partite..”. La mamma non ha sempre ragione. Hanno fermato me pensando che il mio passaporto (ridotto malissimo dopo 9 onorati anni di carriera) fosse contraffatto. Morice col suo sgargiante passaporto con chip di ultima generazione è passato liscio. Ma tutto bene, siamo partiti ed arrivati a Bangkok.

All'arrivo in Thailandia: Immaginate infrastrutture migliori delle nostre. Immaginate un verde lussureggiante. Colore che quasi avevo dimenticato a Dubai. Immaginate il nostro buon vecchio Brandi nel sud est asiatico. Federico sta cercando di stanziarsi a Bangkok, prima città al mondo per flusso di turisti, procacciando contatti per la Bocconi e collaborando con una rivista che fa recensioni per lounge bar ed alberghi. Il nostro gaudente vegetariano fruisce di questi luoghi da recensire a sbafus, e le signore ringraziano. Brandi è stato sempre un passo davanti a tutti. Nel frattempo tesse contatti con funzionari ONU dato che Bangkok è un Hub per le agenzie. L'ho trovato benissimo e scorgere un pezzo del nostro cortile addirittura nel sud est asiatico, ragazzi, è stata un'emozione bellissima. Grande Federico davvero.


Oltre a questo permettetemi di raccontarvi due aneddoti: l'incontro con un ristoratore italiano da 25 in Thailandia ed un funerale buddista.
Siamo a Pattaya, la località di mare più vicina a Bangkok dove ci siamo recati per andare un po' in spiaggia. Ma, da foche quali siamo, abbiamo scelto di andare in Thailandia durante la stagione delle piogge..altro che fuga dei cervelli dall'Italia. il mio non è fugato, è disperso. Quindi si passano le piovose giornate finali ingolfandosi gaudenti di pesce e cucina Thai (eccellente) e si visitano templi buddisti. Una delle prime sere però la voglia di pizza è troppo e perciò ci rechiamo al ristorante italiano “La Torre” che si trova dietro il nostro albergo. Bello, accogliente quasi chic. Il proprietario è un panzone, con la faccia da mafioso con annessa catena e pelo sporgente, che espone una foto del Mussolini Benito, in arte Duce, vicino alla cucina. Io dico a Morice che forse è un mafioso che ha riciclato i soldi nella ristorazione fuori dall'Italia. Possibile no? S'avvicina mi guarda e mi dice “Boia co' sta faccia non poi esse che italiano, o dimmi 'npo' 'osa vòi dammangiare”. È Pisano, il mio fiuto da detective fa caà. Vi lascio immaginare come ore ed ore passate davanti ai video del Nido del cuculo con voi siano scorse in un secondo. Lasciatemi credere che si chiamasse Silvestro.
Ordino una pizza quattro stagioni. Si rivolge a Morice “E te 'osa vòi?”. Morice che in italiano sa dire solo “Bella Figa” non carpisce la richiesta. “No guardi lui è Siriano”. E l'oste: “Ah musulmano... allora lui qui avrà, grossi problemi...”. Ecco che mamma aveva ragione. “Tutte le donne qui so' maiale! Ahahahahahaha”. Sospiro di sollievo. Un vero pisano. Morice mostra la croce che ha sul petto (più piccola di quella del proprietario) e tutto si risolve in una risata. Peccato che quella battuta nascondesse una triste verità. Pattaya è una meta di turismo sessuale. Cinquantenni canuti e lampadati ovunque, prostitute ad ogni angolo, polizia per locali e polizia per turisti, tutto scritto in inglese e russo per gli utilizzatori finali. Non proprio il paradiso tropicale e buddista che cercavo. Ammetto che il degrado sociale ed umano che ho visto in quel luogo dopo un po' mi ha fatto rimpiangere la superficiale Dubai. Ragazzi vi prego. Se verso la crisi di mezza età vi dirò che vado in Thailandia, vi prego, abbattetemi.
Morice intanto lotta con il suo difetto genetico arabico: la non resistenza al biondo. E visto che a Pattaya quasi ci sono tante russe quante tailandesi non sa dove girarsi, come trattenersi. La comunità russa è enorme in quella zona. Scritte in cirillico ovunque e bionde famigliuole che scorrazzano nelle zone della puttanesca night life cittadina con figli piccoli annessi. Osservandoli ho realizzato che chi dice che 70 anni di comunismo hanno degradato la società russa forse ha ragione. Anche la “laboriosità” delle russe a Dubai sembra confermare questa diceria. Vladimir Ilic Ulianov può tranquillamente rivoltarsi nel mausoleo.
Insomma, lo spettacolo sociale che abbiamo visto a Pattaya non è stato affatto edificante. Anzi, a tratti vomitevole. Per fortuna i templi tra Bangkok e Pattaya mi hanno riempito le piovose giornate. Bellissimi, unici, meravigliosi. Mi hanno regalato un grande senso di pace e serenità di cui avevo davvero bisogno. Il caos di Dubai e Bangkok erano troppo per me.
Durante una di queste visite ci siamo imbattuti in una preghiera di gruppo. Una schiera di monaci di arancio vestiti e di fronte a loro delle persone molto composte ed assorte. La gentilezza, il garbo e la grazia sono parte integrante dello spirito tailandese ed appena hanno scorto due “falang” (stranieri) ci hanno invitato ad unirci. Noi timidamente ci siamo seduti ad osservare. Qualche sorriso, stupore e benevolenza ci hanno accompagnato. Ad un certo punto ci accorgiamo che in alto a sinistra della sala c'è un bara. Io e Morice siamo stupiti. Nessuno piange ed anzi le persone sembrano serene. La preghiera si conclude ed i monaci conducono gli astanti verso un tabernacolo intorno al quale fanno diversi giri. Tutte le persone reggono un filo bianco di cotone, dal quale sono tutte collegate. La cerimonia si conlude con delle offerte alla famiglia ed ai monaci che solo di elemosina vivono. Nessuno piangeva.
Io non conosco quelle forme liturgiche, né conosco abbastanza il buddismo, ma so che nella cultura buddista locale si crede nella reincarnazione dello spirito. Forse per quello non piangevano. La persona cara viveva ancora, altrove, e se il cammino era stato retto la sua prossima vita sarà milgiore o addirittura verrà liberato dal Samsara. Perché disperarsi? Io non credo alla reincarnazione. Rimango fedele alla scienza occidentale. Ma mi sono ormai convinto che le nostre azioni ci rendono immortali, nel bene e nel male, dato che volontariamente o meno si ripercuotono con un effetto a catena su decine e decine di persone presenti e future. E di tante imperscrutabili vicende umano siamo figli noi, tutti collegati da un filo di compassione. Tutti alla ricerca della felicità.

Il Conte


Lentezza - ovvero come non risolvere i problemi

Operatori portunali impegnati nella raccolta del fagiolo rosso fuoriuscito dal sacco, destinazione Estados Unidos



Passati i primi 30 giorni, sotto la pressione di bookmakers corrotti e senza scrupoli, riporto di seguito il bollettino delle malattie contratte sino ad ora. 

Il paziente riporta una  costipaçao  da cambio di stagione, causante iperproduzione di muco, tosse, e sintomi da raffreddamento con leggerissima febbre. Le attività di digestione e di defecazione risultano del tutto invariate nonostante l'alimentazione estremamente ricca di fibre, nessuna presenza dello storico reflusso gastroesofageo, mentre i focolai di bernardite risultano tuttora attivi, stimolati da continue ed esotiche sollecitazioni.
Si consiglia il test antimalaria, e di guardare per terra nei luoghi molto affollati.

Si, mi sono raffreddato in Guinea Bissau a causa del cambio di stagione, chè se non me lo dicevano che la stagione è cambiata io manco lo sapevo.

In ogni caso pare che qui il primo di novembre, in occasione della ricorrenza che celebra i defunti, piova tutti gli anni; non passa anno che non piova. E' questa la scadenza che determina la fine della stagione delle pioggie, per far posto alla stagione secca, la stagione della polvere al posto del fango, del sole al posto del sole. 

Si tratta di una delle poche cose che si verificano in maniera puntuale qui, insieme all'inizio delle partite di calcio.
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In realtà il senso di questo post, almeno adesso mentre lo sto scrivendo, è quello di tentare di fare un bilancio di questo primo mese, ma non credo nei bilanci nè tantomeno nei presunti risultati che ne deriverebbero, quindi mi limiterò a sproloquiare a ruota libera, al solito.

In Africa, o almeno qui, tutto è un problema.

Già, la difficoltà con cui vengono fronteggiati gli imprevisti è davvero notevole.
Non lamento per nulla il fatto che i ritmi di lavoro siano poco serrati, che programmare qualsiasi cosa risulti praticamente impossibile, che per i più sia normale arrivare ore dopo ad un appuntamento, che si diserti il lavoro con una certa scioltezza. 
Credo sia abbastanza facile adattarsi a un sistema così blando, che lascia spazio all'iniziativa di ciascuno, così come alla perdita di tempo, con il rischio di lasciarsi trasportare dal fluire inerziale del tempo e delle cose. 

Mi riferisco piuttosto che al fatto che, a fronte della sciallitudine più disinvolta nell'approccio alla vita in tutti i suoi aspetti, la propensione a risolvere i problemi risulta essere piuttosto debole.


Aneddoto #1

Un paio di settimane fa si è rotto un generatore. Questa ONG funziona con un paio di generatori, che non possono stare accesi tutti il giorno sia perchè si bevono litri di gasolio (che qui va sui 0,90 €/lt.), sia perchè alla lunga si squagliano. Come Artissal, moltissimi hanno dotato le proprie abitazioni o i propri luoghi di lavoro di pannelli solari che accumulano energia durante il giorno e ricaricano una batteria che viene utilizzata per i consumi notturni. Se si rompe un generatore c'è l'altro, ma se si rompe pure l'altro che si fa?
Questo quesito è riuscito a stimolare la lungimiranza dei responsabili della ONG, che optano in questo caso per la riparazione della macchina.

Con una flemma che manco Piero Fassino, sicuramente indotta anche dal caldo cocente e dall'umidità improponibile, arriva il primo tecnico corredato da aiutante. Assisto alla scena della riparazione; Mariana, grande efficientista, in apprensione per la riparazione (la batteria che accende il generatore è quella di una delle due auto - che se una si rompe, c'è l'altra - e senza batteria l'auto non si accende, e senza auto a Bissau è difficile arrivarci, e a Bissau ci si deve andare più o meno tutti i giorni, per un motivo o per un altro) e Max appoggiato sul generatore, dal lato opposto rispetto al tecnico. 
Il tecnico, senza sapere quale fosse il problema, arriva senza cassetta degli attrezzi. Rovista 5 minuti nello sportellone della macchina che da accesso al motore, mentre ride e scherza con Max. Capisco poco, ma di certo non stanno parlando di quello che c'è da fare in quel momento. Nel frattempo l'aiutante, dopo aver visto Sylvia, apre la seguente discussione


- Kuma i to nom?

- Sylvia.
- A mi 'n'mistiu. A mi 'n'misti casa ku bo.

ossia

- Come ti chiami?
- Sylvia.
- Tu mi piaci. Ti voglio sposare.

Questo mentre il suo capo fingeva di riparare il generatore, nello sgomento dell'ispanica fanciulla, e con Mariana che risponde a tono al suo posto.
Dopo mezzora buona questo Galileo Galilei della meccanica spicciola sostiene di aver fatto tutto quanto era in suo potere, si trattava di una riparazione molto ma molto difficile, fuori dalle sue corde. Aggiunge che avrebbe chiamato un altro tecnico che avrebbe a sua volta fatto la sua parte di lavoro - questa seconda parte, sostiene il Nostro, non era di sua competenza. Incredibile osservare come qua la gente in genere sappia fare una cosa sola. Sono già le 11:00.
Passano decine di minuti, il primo tecnico è ancora appoggiato al generatore e Max è ancora lì a parlarci, con tanto di garzone che nel frattempo rivela di avercela già una moglie, arriva il secondo tecnico.
Lascio immaginare la sfiducia dilagante rispetto alla possibilità di riavere un generatore, in quella mattina sempre più vicina al pomeriggio.
Dopo numerose telefonate e altrettante bestemmie, giunge il secondo tecnico che con un po' di know-how acquisito dalla telefonata ricevuta e un paio di chiavi inglesi in più, sistema il marchignegno liberando così Mariana che finalmente può smettere di sbuffare, fugando ogni timore rispetto alla possibilità di non poter più utilizzare il generatore. La mattinata è persa, ma quantomeno c'è di nuovo un generatore.

Non è il caso più eclatante di scarsa propensione alla rapida risoluzione dei problemi, ma è piuttosto indicativo. Cose da niente possono compromettere un intero meccanismo, tutto è appeso ad un filo di lana e alla minima e frequente disattenzione salta tutto per aria. E come succede credo in tutto il mondo, le responsabilità tendono a gravare su pochi, a volte singoli, tutto il resto è al traino di chi si addossa il peso di tutto.


Aneddoto #2

Artissal ospita da una decina di giorni 6 turisti spagnoli.
Una delle tappe del loro viaggio prevede una visita nella regione di Cacheu, che raggiungeranno in un paio d'ore di macchina – una sola delle due – accompagnati da Max. Il mezzo è un FIAT Ulysse da combattimento, senza uno specchietto e con le porte a scorrimento. Quando si aprivano.

Mentre a Quinhamèl si lavora tranquillamente, con Mariana sempre in tensione per la buona riuscita della parte di viaggio fuori dal suo controllo diretto, arriva la sciagura. Max chiama Mariana perchè o carro incontrò una voragine nel suo cammino, smettendo di funzionare subito dopo l'urto. Come fare, come non fare.
Fu così che mettiamo in piedi un piano pazzesco. Sylvia resta ad Artissal a tenere tutto sotto controllo, e io realizzo il sogno di una vita: guidare un pickup in Africa. Cioè, non una macchina, un pickup, di quelli 5 porte con il vano dietro, il cambio lungo lungo e lo sterzo orizzontale. Non so se mi spiego, tipo A-team. Di quelli che in Italia non se ne vedono eh.

Centodieci all'ora sulla strada Quinhamèl-Bissau, schivando capre, donne equilibriste e dissuasori che sembrano dighe, mentre Mariana telefona disperatamente alla ricerca di un meccanico a Bissau. Già non so la strada, immaginati di guidare verso una città che non sai raggiungere senza che al momento nessuno sappia quale sia la destinazione finale.

Recuperiamo Yussuf, senegalese trapiantato di 40 anni che ne dimostra al massimo 25. E' smilzo, bassino e ha con sè solo un panno sporco di grasso, con dentro gli attrezzi.
Il piano è: arriviamo dove la macchina si è fermata, cediamo il pickup al gruppo – chiaramente non è omologato per trasportare più di 5 persone, ma cazzocene, nel rimorchio ci sono 3 panche di legno e sono più che sufficienti – ripariamo Ulysse e ce ne torniamo a Quinhamèl.

E così fu: Yussuf ripara in mezzo alla strada la macchina, scomparendo tra le valvole e i pezzi del motore. La riparazione però non è sufficiente a risolvere il problema, dunque riportiamo Yussuf all'officina, dove il candore della mia pelle suscita i commenti dei ragazzini apprendisti che ci rimangono di merda quando Mariana in criolo gli intima di starsene zitti.
Sfruttiamo il pomeriggio a Bissau per fare un paio di servizi, accompagnati da un taxi recuperiamo l'auto di Cèsar – che lavora a Bissau in un progetto statunitense di distribuzione alimentare nelle zone con alto tasso di denutrizione nella capitale – e ce ne andiamo gironzolando tutto il pomeriggio in attesa delle 17, per ritirare l'epica ed italianissima autovettura. Nell'arco del pomeriggio siamo stati in una ONG per consegnare fatture, in un albergo di lusso per procurare un nuovo punto vendita per i prodotti del Comercio Justo – credo di aver parlato con un sottosegretario del governo golpista con pantaloncini gialli della LEGEA e maglia del Coordinamento sporca di dentifricio; il nero ero indubbiamente io - poi in un'agenzia viaggi per comprare i biglietti dello scafo che ci avrebbe condotti nel finesettimana alle Bijagos, a colloquio con un rasta che “gestisce” un villaggio di musici in mezzo alla foresta, a lezione di musica in un jardim de crianca – l'equivalente di un asilo – e infine a recuperare la macchina all'officina, con orari shiftatissimi e chiaramente con un'apprensione che manco il travaglio preparto. Cinquemila franchi CFA, e si ritorna a Quinhamel dopo aver recuperato Sofia, nipote di Mariana di 3 anni.

Sono già le 20, stavolta guida Mariana e la strada per Quinhamel non è illuminata se non dalle poche auto che circolano. Impossibile vedere i buchi, se non sai già dove sono.

Facile finirci dentro. Altrettanto facile che la macchina si fermi di nuovo, dopo l'impatto. Un po' meno facile trovare una soluzione, in mezzo al nulla, nella strada che collega due città, e che dopo Quinhamel non ha nulla davanti.