lunedì 30 settembre 2013

La flessibilità dei neolaureati..? 'nculet

È chiaro ragazzi che quando si scende nel cortile può andarci bene, beccare la vicina erasmus spagnola e riuscire anche a strapparle un ciao. Oppure potrebbe esserci la anziana coi baffi del piano terra che chiede a karim di aiutarla a prendere le pere dal giardino. Però nel cortile ci può anche essere quel noioso signore che ammazza tutte le giornate felici col suo strascico di discorsi seri o seriosi. Quello che tutto il vicinato cerca di schivare, arrivando persino ad affrettarsi nello scendere le scale per evitare un incontro. Lui, quello strano signore, allo stesso modo non sopporta i vostri modi di scherzare su alcune cose che non lo fanno ridere, di ammazzare le serate su youtube con video noiosi (beninteso, uno di quei video si salva “presidente, che messaggio vorrebbe dare ai bambini. Presidente?! Presidente”?!??) che fanno ridere sguaiatamente il salentino… per lui è sempre stato molto meglio alzare bicchieri colmi di vino in vostra compagnia, per finire a sentirsi dire che è molesto e le solite vostre frase di rito.

Però questo è un cortile anomalo, e quando i ragazzi del vicinato si mettono in gruppo a chiedere a quel signore di raccontare qualcosa, forse per vedere fino a che punto potrà arrivare la sua noiosità, lui cede. Magari ne potrebbe nascere una di quelle belle discussioni che si concludono con l’emiro che dice che è proprio bello discutere di politica tra noi o con Karim che, demo cristianamente, dice che alla fine la pensiamo tutti allo stesso modo.

Quindi taglio corto. Vi lascio questo primo post che ho pubblicato anche sul mio blog che per motivi di salvaguardia del mio posto di lavoro tengo ancora in semi clandestinità. In fondo, dalla Vallecamonica a Quito, da Gela alla vendemmia ad Alessandria, dagli Emirati ad un’auletta per studiare francese passando per la Guinea non Conakry, siamo tutti nello stesso centro del fiume.



Sono state due settimane intense in valle dal punto di vista del lavoro. Alle tante aziende in crisi si è aggiunta una situazione abominevole alla Riva. Ancora una volta è evidente come sia difficile creare un fronte comune e compatto nel denunciare e combattere le responsabilità, anche laddove queste dovrebbero essere chiare a tutti.

Ho chiesto nel giro di queste settimane ai miei colleghi se non pensassero che fosse il caso di esprimere solidarietà, di far qualcosa. Tutti quanti, senza distinzione, erano concordi nel dire che sarebbe stato giusto farlo. “Un tempo avremmo fermato tutta la produzione in segno di vicinanza. Ma non può partire da noi. Deve essere il consiglio di fabbrica”!

Eccolo li, l’eterno assente di questi primi 7 mesi. L’RSU. A inizio mese abbiamo scritto una lettera, come operai del reparto, indirizzata al direttore per mettere in chiaro che alla velocità che voleva lui noi non andavamo. Si è detto che non era giusto farla pervenire senza passare dall’rsu. Fu così che abbiamo consultato l’unico presente in quella settimana e lui non ha risposto niente. Niente! Fu così che la protesta si è sgonfiata subito dato che senza rsu non ci si è voluti muovere.

Questa settimana è tornato l’unico rsu dei tre che è CGIL e gli ho chiesto se non aveva pensato a nulla in segno di vicinanza alla lotta degli operi riva. Lui ha detto “ma come si fa? Non riuscirei a convincere nessuno qua dentro”. “ma io ho sentito varie persone e tutti erano entusiasti della cosa, anche solo uno striscione”. Silenzio. “Beh, ma comunque si dovrebbe chiedere il permesso alla dirigenza per appenderlo, è complicato”.

Gli ho chiesto se sapesse niente dei rinnovi che riguardano me e altri due ragazzi cui scadeva il contratto lunedì. Mancavano due giorni cazzo! Niente.

Ieri mi ha chiamato il capo dicendomi che mi prorogavano il contratto fino al 20 dicembre arrivando così a dieci mesi totali di lavoro tramite agenzia iterinale, quello che inizialmente usavano come periodo di prova. Un bel periodo di prova di dieci mesi quando ormai so lavorare più o meno su tre reparti.

Mi è montato un gran nervoso. Anzi ho la fortuna che me l’hanno rinnovato. Ma non per questo devo astenermi dal denunciare il malessere e l’instabilità che provoca una situazione di precarietà simile. Per loro io e l’altro nella mia stessa situazione siamo essenziali a livello produttivo, però ci trattano come se fosse dubbia la nostra utilità.

Mi viene in mente la parolina magica che si sente da molti anni quando si studia economia, anche da eminenti professoroni “rossi”. Flexsecurity. Li inviterei a provare a fare progetti in una situazione di precarietà, e sono sicuro che capirebbero che la flessibilità non può mai corrispondere a un benvivere, poiché è solo precarietà. Precarietà, è una parola brutta se solo ci si pensa o la si usa come aggettivo. Da un senso di disagio dentro.


Io sono amareggiato perché avevo deciso di candidarmi per il rinnovo delle rappresentanze, nella speranza che altri due giovani con le palle mi fornissero le giuste spalle per mostrare ai vecchi come sul posto di lavoro si possa ancora far sentire la propria voce. Per mostrare che lo spazio che loro si prendono è solo perché noi abbiamo lasciato il campo di battaglia. La rappresentanza sul luogo di lavoro non è altro che lo spazio per organizzarsi e  per far sentire che la fabbrica la mandano avanti degli uomini che sono altro rispetto al capitale umano. Sono vite.

Una materia prima può essere flessibile. Un uomo no. Però un uomo può essere molle

giovedì 26 settembre 2013

“LA REVOLUCIÒN CIUDADANA AVANZA”




Sono la prova vivente che è possibile prendersi l’influenza in un paese ecuatoriale! Così ho pensato bene di dedicare queste ore di inattività forzata alla scrittura, e perfino ho proposto io per primo una skyppata ai miei! Cose mai viste insomma..

Qualche giorno fa chiacchieravo con un amico italiano che lavora qui a Quito, tiene alcuni corsi in una buona università, e mi spiegava come funziona il meccanismo della dichiarazione dei redditi e più in generale della tassazione diretta. Che palle direte voi, e confesso che l’ho pensato anch’io, invece si possono scoprire cose molto interesanti e sorprendenti, tanto da avermi portato, vostro malgrado, a volerle condividere con voi!

In questi ultimi mesi si è parlato molto dei giacimenti di petrolio situati nel parco naturale dello Yasunì. Sarebbe la riserva con la più grande biodiversità del mondo, patrimonio dell’umanità, abitata da popolazioni indigene in isolamento volontario, e chi più ne ha più ne metta.. Questi famosi giacimenti sono proprio quelli tutelati dal governo del buon Correa quando, a partire dal 2007, aveva chiesto al mondo una sorta di “indennizzo” di svariati milioni di dollari, in cambio della preservazione della foresta amazzonica. L’iniziativa, chiamata Yasunì ITT (dalle iniziali dei quadranti interessati: Ishpingo, Tiputini y Tambococha )si proponeva in  pratica di ottenere fondi dalla comunità internazionale, in cambio della mancata estrazione di petrolio.

Questa politica faceva parte di una più ampia strategia ambientalista, che ha caratterizzato l’azione politica del Correa fin dai suoi esordi, quando, caso unico al mondo, venne posto nella costituzione l’obbligo alla tutela della Natura, intesa praticamente come soggetto giuridico (un giurista storcerebbe il naso di fronte a questa frase ma credo che il senso si sia capito). A ciò fecero seguito tutta una serie di iniziative volte alla sensibilizzazione ambientale, a livello nazionale e internazionale, per spingere i governi di tutto il mondo a condividere il “fardello” della gestione del polmone verde di questo pianeta. Piccola nota, c’è chi sceglie il colore del proprio partito in base al colore della maglietta della nazionale (azzurro), e chi invece sceglie come Correa il colore più rappresentativo di un paese tropicale, il verde. Populismi e buoi dei paesi tuoi..

Pochi giorni fa, adducendo come motivo la mancanza di buona volontà del mondo intero, il governo ha deciso un cambio repentino di politica, e ha dato il via, dopo previo voto favorevole del parlamento, allo sfruttamento proprio di quel bacino petrolifero, intoccabile fino al giorno prima. Ciò ha causato forti contestazioni da parte dei media, storicamente ostili al Presidente (vedi vicenda El Universo ma questo è un’altro discorso), che hanno portato a dibattiti a mezzo stampa in realtà poco sentiti dalla popolazione.


Non vi è stata una reazione “popolare”, ma sembra invece que la questione sia stata più che altro strumentalizzata dalla (debole) opposizione per far pressione sul governo che, forte dell’appoggio delle masse, si è preoccupato invece di imbastire una massiccia campagna pubblicitaria (a mezzo televisione) per giustificare il proprio voltafaccia.
Parlando con “la gente” si capisce che il messaggio che è passato è del tipo “per lo sviluppo del paese abbiamo bisogno il petrolio, l’amazzonia è grande, qualche albero in meno in cambio di scuole e ospedali ci può stare”, una sorta di pragmatismo machiavellico indotto dalla disinformazione veicolata dalla televisione, principale mezzo d’informazione delle masse popolari.

Secondo i più attivi sostenitori di questo governo, non vi è stato alcuno strappo, essendo la decisione frutto dell’immobilismo della comunità internazionale. Il tema è, comprensibilmente, che l’Ecuador ha diritto a sfruttare le proprie risorse naturali come più gli aggrada, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e “buen vivir” a cui ambisce ogni nazione di questo mondo. E se per farlo bisogna immolare qualche ettaro di foresta sull’altare del progresso, allora il prezzo non è neanche così sostenuto. In fondo da qualche parte bisognerà pur trovare le risorse per sostenere i vari programmi sociali a tutela dei più poveri, o per pianificare quelle opere pubbliche che così efficacemente contrastano la disoccupazione e stimolano il commercio! Senza parlare della spesa pubblica in educazione e sanità: se la partecipazione scolastica elementare ha quasi raggiunto il 100% un motivo ci sarà no?

Il governo ha quindi giustificato le trivellazioni, in termini di risorse economiche da investire in programmi sociali, e quindi a beneficio dell’intera popolazione. Così mi è venUta la curiosità di saperne di più su quali siano le entrate, e le principali voci di spesa di questo governo. Ciò, unito alle fruttuose conversazioni con vari italiani che lavorano stabilmente qui, mi ha portato verso il versante “fiscale”.

Ho scoperto così che l’Ecuador è il paese con la pressione fiscale più bassa di tutta l’America Latina. Nella pratica, ogni mese tu lavoratore devi fare una specie di dichiarazione dei redditi, che determinarà quanto devi pagare di imposte dirette. Tuttavia da questo ammontare si possono detrarre spese per cibo, vestuario, e istruzione. Così alla fine dell’anno viene fatto un calcolo di quanto hai versato, di quanto hai speso, e a seconda dello scalone in cui sei ti viene restituito tutto o parte di quello che hai versato, ed in alcuni casi anche di più!

In Ecuador per legge lo stipendio minimo è di 318$, un “almuerzo” in giorni feriali costa circa 2$, una birra 1.25$, l’autobus cittadino 25 cent., e via dicendo. Come si può facilmente capire il costo della vita è molto basso, senza contare che anche la benzina è sovvenzionata.. Tutto ciò per arrivare a dire che, secondo gli scaloni di cui sopra, non si pagano tasse fino ad un reddito annuale di circa 10.000$, cioè quasi tre volte il salario base! Con buona pace delle classi medio-alte, che si trovano a sopportare una pressione sproporzionata in termini di imposte dirette ed indirette, specialmente sui beni importati.

Ad essere maliziosi, o realisti, si potrebbe pensare che tale politica sia orientata non tanto da considerazioni di giustizia sociale, quanto piuttosto da meri calcoli elettorali, essendo le fasce più povere la base elettorale di questo governo. Inoltre secondo numerosi economisti, alcuni dei cuali ex collaboratori dello stesso Correa, questa situazione non sarebbe sostenibile nel lungo periodo, in quanto porterebbe nel giro di alcuni decenni ad un forte deficit delle casse dello stato ed alla bancarotta.

In conclusione risulta che questo bellissimo paese sia ancora troppo dipendente, da un lato, dall’esportazione di materie prime e quindi esposto alla fluttuazione dei prezzi nei mercati internazionali. E dall’altro, che sia ancora prigioniero di politiche interne caratterizzate da una forte connotazione populista, poco lungimiranti e ancor meno sostenibili nel lungo periodo. Correa ha fatto moltissimo per lo svulippo di questo paese, mettendolo sulla strada della modernità e dandogli un ruolo a livello internazionale, ma molto si può e si deve fare, in quanto di questi tempi specialmente, un capo di stato che si professi socialista non può che suscitare grandi aspettative.


martedì 24 settembre 2013

Cartolina da Nairobi


Foto: Will Swanson


Nairobi, quarto giorno di terrore. Da tre giorni le autorità keniote proseguono il mantra del "tutto sotto controllo". I giornali di tutto il mondo rimbalzano la notizia. Ognuno ha la sua versione. C'è chi dice che gli ostaggi siano tutti stati liberati, c'è chi sostiene che ancora ce ne siano nell'edificio occupato dal commando somalo. 

Personalmente trovo poco interessante se, una volta messo ordine in questo caos mediatico, i morti saranno stati 60 o 90. Se di fredda statistica si tratta, i drammi del Paese sono altri. Quello che trovo più allarmante, al contrario, è la totale disorganizzazione e mancanza di credibilità dell'azione delle forze armate e del governo kenioti. In effetti le rassicurazioni che giungevano da fonti ufficiali avevano quel non so che di tipicamente africano. "Tutto sotto controllo". 

Cercando di rimettere in ordine le idee su quanto stesse succedendo a Nairobi però mi sono ricordato di un insegnamento importante. Nel raccontare una storia bisogna sempre cominciare dal principio.

Il principio, in questo caso, è l'invasione della Somalia nel 2006, avvenuta grazie all'appoggio statunitense. Le parole sono importanti, come recitava Nanni Moretti, ma anche i fatti. Che lo si chiami intervento armato, invasione terrestre, missione di pace o guerra, di quello si tratta. Certo, non deve essere affatto facile avere un vicino come la Somalia. Il desiderio di neutralizzare gli Shabaab, che all'epoca avevano minacciato di estendere la guerra al suolo keniota, è alquanto condivisibile, specie agli occhi di un occidentale laico poco incline alle ideologie integraliste e ortodosse. Tuttavia il modus operandi ha suscitato vibranti polemiche nel dibattito internazionale, nonché profondi risentimenti nel popolo somalo.

A distanza di sette anni dal 2006, oggi gli eventi ci hanno portato a conoscere quel grande centro commerciale di Nairobi come l'Eurospin sotto casa. L'aspetto più interessante è la gestione dell'emergenza da parte del governo keniota. Senza pretesa di dilungarmi su aspetti che restano avvolti da una fitta nebbia, risulta comunque evidente come questo abbia faticato poco per perdere di credibilità e far capire l'urgenza di un intervento esterno, giunto poi da Israele e dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, va anche sottolineata la grande solidarietà del popolo keniota che ha preso d'assalto (si fa per dire) i centri di crisi e gli ospedali per donare il sangue, che ha contribuito in prima persona ai soccorsi della Croce Rossa.

Una volta terminata questa vicenda resterà da capire l'estensione e la minaccia della rete terroristica che ha organizzato l'attacco e andrà chiarito il futuro dell'intervento in Somalia, che pochi mettono in dubbio. Questo potrebbe anzi essere rinvigorito a discapito dei civili, già vessati oltre ogni immaginazione. Abbiamo già assistito innumerevoli volte al sacrificio dei diritti fondamentali sull'altare della sicurezza e della lotta al terrorismo. Quanto alla prima, non è invece chiaro come i diversamente potenti mezzi investigativi kenioti possano sbrogliare la matassa. 


domenica 22 settembre 2013

Tracce





Un piano, ci vuole sempre un piano, sennò dove vuoi andare? Non si può mica improvvisare, che a farlo sono capaci tutti, e infatti poi si vedono i risultati.. 
Una donna, bhe non può di certo mancare, che te lo dico a fare? Avere una donna intorno cambia tutto, da colore all’ambiente, un brio, il famoso tocco femminile. E poi diciamocelo, le donne aiutano sempre a guardare le cose da un punto di vista differente, non so, sarà per colpa di quello che le succede durante quella settimana in cui diventano intrattabili (che a volte a dir la verità dura ben più di 7 giorni, ma questo è un’altro discorso). 
Prospettive, ci vogliono delle prospettive rosee, una base da cui costruire qualcosa che possa darti soddisfazione, farti sentire un uomo appagato, soddisfatto e in pace con sè stesso, che in fin dei conti è forse la cosa più importante. Chiamalo successo, ricchezza, appagamento, soddisfazione, cambia poco..la sostanza è la stessa, lottare per ottenere qualcosa dalla vita, raggiungere quell’obiettivo, e sentirti fottutamente bene. A volte questa fase viene già prima di tagliare il traguardo, quando magari senti che stai facendo qualcosa di bello, di entusiasmante, che abbia un senso per te, e nella migliore delle ipotesi anche per gli altri. 
Gli altri, sì, ecco la parola che ancora mancava. Ma chi sono questi altri? Degli sconosciuti, che entrano nella tua vita, a volte come uragani, altre volte  in punta di piedi che neanche le ballerine del Bolshoy (spero si scriva così!). Gli altri, altre persone, “gente” che riempie le nostre vite, uomini e donne con cui parliamo ogni giorno, con cui ci confrontiamo, e grazie ai quali ogni santissimo giorno abbiamo la certezza di esistere.
Personalità differenti che aiutiamo a plasmare e che a loro volta ci lasciano sempre un po’ cambiati. Sì perchè ogni dialogo, ogni tocco, ogni rapporto umano, di qualsiasi tipo, lascia una scia, una traccia dentro di noi, che ci guida verso la scoperta di noi stessi. 
Sarebbe bello, poter entrare nella testa delle persone che abbiamo conosciuto, per vederci attraverso i loro occhi, secondo i loro canoni interpretativi della nostra realtà. Sarebbe come entrare in una sorta di casa degli specchi psicologica, che restituirebbe l’immagine che tanto ci affanniamo a proiettare verso l’estero, deformata secondo la lente d’ingrandimento di chi abbiamo davanti. Insomma un ottimo esercizio di autocritica e di coraggio, tanto azzardato e raro da rasentare l’eroismo!
Ovviamente ci sono tracce leggere, che sembrano lasciate come da piume intinte in un’inchiostro sbiadito, che tremolanti disegnano delle righe incerte, che quasi neanche si capisce dove vadano a parare. 
Ci sono poi segni più vigorosi, protratti nel tempo e profondi, che indicano chiaramente una direzione da seguire, anche se spesso sono incoerenti tra loro, ed è un casino trarne un’indicazione univoca! 
Ci sono poi le ringhiere, aiuti che per quanto ti possa sforzare di ricordare ci sono sempre stati, ti hanno sempre offerto un appoggio, incondizionatamente, senza obbligarti in nessuna direzione, ma assecondando semplicemente la tua voglia di scoprire e di conoscere. Sono quegli appoggi che quasi sempre sono stati un passo avanti a te, cercando di metterti in guardia, ma senza raccontarti la fine della storia, che sennò che gusto dell’avventura c’è? Quella ringhiera ora la guardi quasi con nostalgia, ma è la stessa che fino a pochi anni fa trattavi con disprezzo! Lei c’è sempre stata, e sotto sotto sai che ci sarà sempre, nonostante catastrofi naturali o umane. É li, a ricordarti da dove sei venuto, chi sei (o chi eri), e cosa potresti essere, perchè un po’ di fiducia incondizionata fa sempre bene. 
Ogni tanto qua e la troverai sparsi dei tratti leggeri, colorati e dalle traiettorie più incredibili. Alcuni di questi sfumano effimeri  e svaniscono nel nulla, altri vanno paralleli fino a quando non si incontrano (ed è un vero casino). Quindi si intrecciano, si ingarbugliano e poi svaniscono entrambi, oppure più raramente ne sopravvive solo uno. Alcuni di questi  ti accompagnano per molto tempo, alcuni sono profondi, rossi d’amore e verdi di speranza, altri solo rossi, e in questi casi l’amore c’entra poco. Succede che s’interrompano bruscamente, prendendo la forma di coltelli, lacerandoti la carne viva, e lasciandoti ferite più o meno profonde. Alcune si curano in fretta, mentre altre ancora aperte, sanguinano di rimorsi, di speranze infrante, e di sogni interrotti bruscamente. Di quei sogni che tutto sembra magico e perfetto, che non manca nulla, che sei felice, che neanche ti ricordi com’era prima di addormentarti! E poi, quando sei sul più bello, suona la sveglia e tutto svanisce. Puoi anche cercare di riaddormentarti ma è già andato, puff, volatilizzato, e non c’è nessun sonnifero che possa aiutarti.
 Ci sono, infine, altri tipi di tracce, le più strane, difficili da descrivere e soprattutto da trovare. Non tutti le portano dentro di sè, e questa è un’ingiustizia, perchè sono come le stelle nel cielo di notte che ti fanno compagnia, o come il primo sole tanto atteso di primavera che ti riscalda il cuore. Sono tracce diverse dalle altre perchè hanno una strana peculiarità: indipendentemente da dove inizino, si ha la forte impressione che ci siano sempre state. Possono essere come tessere di puzzle diversi che magicamente, dentro di te, combaciano perfettamente una con l’altra. Ce ne sono di antiche, che magari hanno approfittato della stessa ringhiera, (e in alcuni casi pure degli stessi fili rossi), o di più recenti, cambia poco, a guardarle sembrano tutte perfettamente a loro agio, comode comode, proprio come se fossero a casa loro. Hanno anche un’altra peculiarità, sono poche, fottutamente poche, e quando se ne interrompe una è sempre un dramma, altro che ferite sanguinanti, quelle sono uno scherzo a confronto. Queste lasciano il vuoto, perchè come ti hanno riempito la vita quando scorrazzavano allegramente dentro di te, se  svaniscono niente le può sostituire, perchè ognuna è diversa dall’altra, unica e insostituibile, ed è proprio questo che le rende speciali. Sono scie che ti accompagnano, che formano la tua persona senza che tu te ne accorga, creando una comunità di pensieri, di azioni e di emozioni che vanno oltre le barriere del tempo e dello spazio. Installano tasti sempre pronti a scattare, meccanismi che non temono nè ruggine nè oblio, ingranaggi che non necessitano di olio per girare alla perfezione, perchè sono parte di te, è come se ci fossero sempre stati, e ci saranno sempre.

sabato 21 settembre 2013

Credono in un solo Dio (CDM)




Cari palle,

Preparatevi ad un post noiosissimo. Denso di ovvietà che nei discorsi teorici suonavano futili ma che vissute sulla pelle corrugano la fronte e danno “food for thought”. Il Conte ha bisogno di un pubblico sfogo.
Seppur borghese, io non credo nell’idolatria del denaro e nel fatto che l’accumulazione spasmodica porti felicità. Ovviamente vivere questo convincimento a Dubai è difficile. Gli Emirati sono un calderone di immigrati alla ricerca di fortuna ed ostinatamente o involontariamente sempre pronti a sfoggiarla. Il tutto per sentirsi superiori nella convinzione che più ne hai, più sei cool e felice. Illusioni.

Come tutti i templi del capitalismo, le grandi metropoli, i gangli della rete globale, la città in cui vivo è colma di meraviglie e storture sociali. Le tollero nascondendomi dietro la convinzione i tempi dello schiavismo sono tendenzialmente finiti. Qui gli ultimi scelgono di approdare e lavorare come bestie per una questione di domanda ed offerta. Sono pagati più del salario che recepirebbero nei loro Paesi e per questo emigrano. C’è una logica. Cinica e tollerabile da chi è un colletto bianco.

È la vita baby! Domanda ed offerta, manodopera e know-how che si uniscono per dare vita alla visione lungimirante dello Sceicco. Una visione magnifica, indeed. Dieci anni fa la città era un terzo di quello che è ora. Il petrolio dell’Emirato era agli sgoccioli. Quale modo migliore per rimanere Sceicchi se non costruire una Las Vegas nel Golfo con i capitali ed il sudore degli altri? Attirare capitali e tecnologie occidentali e manodopera del sud est asiatico, un piano semplice. Come farlo? Investendo i petroldollari accumulati, certo, ma creando soprattutto un sogno ed una prospettiva. Far sorgere un nuovo Eldorado, nel luogo dei padri, dove 50 anni fa vivevano e morivano di stenti pescatori di perle. Un paradiso di lusso e turismo, dove il duro lavoro avrebbe ripagato chiunque secondo le sue capacità e sforzi. Geniale.

Tuttavia i grandi sogni ed i grandi progetti hanno costi in termini umani. In questo luogo due sono i lati oscuri della medaglia che mi logorano e mi avviliscono. Primo, l’abbrutimento del proletariato: i bengalesi che spianano il bitume tutti i giorni sotto casa mia a 40 gradi, mesti e silenziosi ed all’apparenza non rancorosi, gli operai indiani che come formiche erigono torri sempre più alte che crescono come funghi, i filippini che servizievoli porgono la salvietta per asciugarsi le mani nei bagni pubblici. E davant ai loro occhi la bionda in Lamborghini. Indigeribile.

Seconda cosa che mi logora: la proliferazione della prostituzione. Lasciatemi spiegare e non sogghignate. Permettete una catena logica semplicistica: la donna atavicamente cerca protezione, la protezione è potere, il potere è denaro, la donna è calamitata dal denaro. O quantomeno un certo tipo di donna che per non urtare la sensibilità delle lettrici femminili definirò: Troie! 

Beninteso, non mi riferisco alle prostitute che si guadagnano quattro soldi per arrabattarsi. Parlo delle Escort. La città ne è invasa, sono ovunque e sono affamate di denaro da spolpare a chi per noia, necessità o sfoggio le ingaggia. Le meretrici di alto borgo non sono spinte dal bisogno ma dalla loro venialità e desiderio di lusso. Purtroppo questa cultura rapace, contagia anche le donne che di meretricio con vivono. Per chi in fondo spera che la Donna sia in realtà Beatrice e non Messalina è triste. L’Amor pure sarà duro da trovare in questa giungla di cemento.


Limito qua la mia parentesi misogina e traggo le conclusioni. Questo Paese è uno dei più felici al mondo, perché i soldi non fanno la felicità ma di certo aiutano. Tuttavia, io vedo sacche di infelicità enormi, l’una causata da lavori umilianti, sfibranti, dall’orrore dello sfruttamento: l’infelicità del proletariato. E l’altra è l’infelicità dell’opulento, che vive relazioni ed emozioni false e mercificate.
E da un po’ di tempo che l’unica domanda che mi frulla per la testa è: cos’è la felicità? 
Ci hanno sempre insegnato: studiate, laureatevi, avrete un buon lavoro e sarete più felici.

Non è così semplice. Ma ci ho creduto anche io..

domenica 15 settembre 2013

Love story




Tutti abbiamo avuto la fortuna, o la sfortuna, di vivere una storia d’amore.
Indipendentemente dal fatto che sia ancora in corsa o finita, tormentata o smielosamente romantica, una storia d’amore ti trasmette delle sensazioni uniche.
Ti riscalda nelle notti fredde, ti abbraccia e ti bacia ogni volta che ne hai voglia o bisogno!!
Ho sempre provato un forte sentimento per sta ragazza, più grande di me, alta, amante della storia dell’arte e un ottimo gusto in fatto di cibo, molto incasinata ma tremendamente interessante.
Le ho dato il primo bacio e ci ho fatto l’amore per la prima volta.
Durante gli anni che abbiamo passato insieme ci siamo mollati più volte e ho avuto storie con altre donne…ma nessuna di queste è riuscita a tenermi tra le sue braccia.
Sono sempre tornato dalla mia ragazza preferita.
Era anche alla mia laurea, e ci siamo guardati intensamente…

Io avevo la speranza negli occhi, volevo sposarla! Lei mi guardava austera e quasi senza emozioni.
Da quel giorno qualcosa è cambiato. Le ho scritto tutti i giorni, le ho detto tutto di me. Le mandavo foto, progetti, speranze, le ho chiesto di tenermi con se e lei non mi ha mai risposto.

Ci sono ragazze più belle, affascinanti e accattivanti, lo so, ma io ho segretamente sognato di stare solo con lei! In questi mesi non mi sono mai arreso nonostante sapessi che stava passando un periodo di crisi profonda.
Lei invece si è arresa, non mi vuole e, ironia della sorte, mi ha buttato tra le braccia di un’altra.
La pelle scura e gli abiti colorati, calda nelle parti basse e con un forte accento francese.

Non ho fatto in tempo a rendermene conto che sono già in una relazione con questa nuova ragazza. A metà novembre andremo a vivere insieme. Non so cosa mi aspetta e la cosa un po’ mi spaventa…ma questa ragazza nuova mi offre una sicurezza e una stabilità che ho a lungo richiesto al mio grande amore, che invece di rispondere alle mie necessità cambiava sempre argomento.

Ti lascio le cose a cui tengo di più e gli amici che abbiamo in comune. Abbine cura in mia assenza.
Non è assolutamente una lettera d’addio…ma solo un arrivederci.
Spero che un giorno torneremo ancora insieme, spero di potermi perdere ancora tra le tue bellezze, di conoscere i tuoi segreti e gioire dei tuoi successi. Spero che un giorno tornerai forte come sai di essere, anche senza di me.

Ti amo Italia mia

per sempre tuo

Ciccio! 

venerdì 13 settembre 2013

Je ne connais pas l'Afrique


Ormai quattro anni fa lasciavo la terra natìa al grido di “Guardate che torno eh!”. Tuonava più come una minaccia, che come una promessa. Quando me ne andai per studiare “all'Università buona”, promisi anche a mia madre che per ogni 30 mi sarei fatto un buco all'orecchio. E l'affetto materno mi augurò un libretto pieno di 29. Ne ho presi cinque, di 29.

Qualche giorno fa ho completato definitivamente il mio percorso di laurea triennale in Scienze Politiche, a 5 mesi della laurea – i 5 mesi li ho impiegati per dare un esame che mi consentisse di iscrivermi alla specialistica in Economics, Finance and International Integration. Ammappete. E per trovarmi qualcosa da fare per impiegare proficuamente il tempo tra la laurea e l'inizio della specialistica. Qualcosa da fare l'ho trovata: parto per la Guinea-Bissau il primo ottobre per 6 mesi. Mi occuperò di fair trade nell'ambito del programma “Youth in Action”, attraverso il Servizio Volontario Europeo. Estigazzi!

Ci si sente che si pensa di essere fortunati, a 23 anni, a trovare un impiego utile del proprio tempo al di fuori degli studi accademici, in cui si è addirittura coperti nelle spese e (mal)pagati. Capirai, in Guinea-Bissau le sigarette costano 30 centesimi al pacchetto, e hanno i valori – quelli in basso sul lato corto, contornati di nero – che sembrano i valori nutrizionali del lardo di colonnata.
Ci si sente anche come pensavi che si sentissero i tuoi amici che partivano per esperienze di cooperazione e non, in Paesi in via di Sviluppo e non, a lavorare e non. Insomma, ne hai visti tanti andarsene prima di te, qualcuno è tornato anche; più o meno lo sai cosa si prova. Ci chiacchieravi nel cortile dell'Università, e da un giorno all'altro quelli se ne andavano. Poi tornavano, e raccontavano delle loro esperienze del fatto che nessuno ti da la ricetta per salvare il mondo dai cattivi, del fatto che l'Africa ti fa cambiare idea sullo stalinismo, che le elezioni in Africa Occidentale seguono dinamiche bizzarre, che i sorrisi delle donne maya nascondono vissuti inimmaginabili.

Credevo che non sarei mai riuscito a distaccarmi dal mio seminato qui, dalla rappresentanza studentesca, dalle relazioni. Eppure, adesso sono vaccinato contro la febbre gialla, tutto certificato da un libretto giallo, che in questo momento si trova al consolato della Guinea-Bissau insieme al passaporto (il cui ottenimento è risultato parecchio ostico: tutto spiegato in questo articolo scritto malissimo).

Tupac Shakur, morto oggi nel 1996 e paladino del popolo africano trapiantato negli Stati Uniti, cantava “that's the way it is; thing will never be the same”. Ed è questa forse l'unica consapevolezza che mi porto dietro. Non è lo stesso, rispetto a quando sono andato via di casa 4 anni fa, e non sarà lo stesso quando tornerò. Il bello dei cambiamenti è che puoi sempre raccontarli, tra i porticati di un cortile.

Alla fine, dell'Africa io non so una beneamata minchia, ma mi riservo di raccontarvela mischiata a tutte le altre cose che mi passeranno per la testa nei prossimi sei mesi.


martedì 10 settembre 2013

Impallonati nel deserto (CDM)




Cari palle,

Dopo un ringraziamento sincero e sentito al buon Mellone per avermi acronimizzato come la Cassa del Mezzogiorno (CDM), permettetemi di inserirmi nel solco sportivo tracciato dal buono Michele sul finire del suo fantastico post imbevuto di alcolica amicizia.

Oggi ho giocato per la prima volta a calcetto negli Emirati. 99,86% delle due squadre composte da arabi. Un’esperienza che dice tante cose sul Medio Oriente.

Ma cominciamo dal prinicpio. Oggi pomeriggio Peter, Armeno figlio dell’Unione Sovietica trapiantato dopo la caduta del muro in Moldavia, facente parte dello 0,14% non arabo della futura combriccola di giocatori, mi fa: “we play tonight..come Cannavaro!”. L’orgoglio italico e partenopeo esplose. La giornata parte bene. Premesso, sono l’unico italiano in azienda e mi appellano in tutti i modi, Super Mario, Cannavaro, Buffon ed ovviamente vi lascio immaginare l’altra B. Inciso gli arabi ammirano generalmente il secondo B. Dimostrando già dove questo post andrà a parare.

Ma torniamo alla partita. Dopo essermi comprato delle scarpe di calcio orribili, verde fosforescente (erano le meno care e tuttavia mi hanno svenato..) chiamo Peter e gli fo: “Oh Pietro ma dimme nbo’ ‘ndo madonna sta ssu campo de pallò?(tr: Peter delucidami sull’ubicazione del campo di giuoco)” Peter parla romeno che che è un dialetto del marchigiano quindi carpisce al volo. E lui mi fa. E’ vicino tranquillo. Io parto...5 minuti, 10 minuti, 20 minuti, 30 e sto campo non si vede..Chiamo Peter e mi fa: “ You are close.. it is at the shooting club of Jebel Ali”.......”Oh Pietro annamo a jocà a pallò o a sparà a li ‘celli (Peter andiamo a dilettraci col la caccia alla volpe o col nobile gioco calcio?)”...finalmente trovo ‘sto posto. Immaginate il deserto. Fatto? Prendete le forbici a punta arrotondata e ritagliateci un campo di calcio sintetico ultimo grido.....ma senza spogliatoi....fatto? Fatto un cazzo!

Arriva Peter. “Fortuna che era vicino..”. Concetti diversi di distanza a Dubai. Comunque conosco gli altri giocatori. Tutti colleghi di lavoro di altri dipartimenti ed a parte me e Peter tutti arabi. Con accenti diversi quindi suppongo sparsi tra Levante, Egitto, Iraq.. Riscaldamento amichevole e già i primi problemi comunicativi vengono a galla. L’inglese lo parlano. Ma voi parlereste inglese se su 14 persone solo due non parlano italiano? Mi presento e subito mi chiedono da dove vengo. Italia. “Ah, Totti, Juve, Milan, B...young pussy...”. Anche in medioriente evidentemente la laurea non è ndicatore di livello culturale.

Si parte e le prime parole di Peter sono”No tackles and play relaxed guys..”. Ipse dixit..Venti di guerra..Calcio di inizio. Io da buon italiano sono il perno della difesa. Al primo fallo, orgogliosamente commesso da me, già si intravedono le avvisaglie dell’andazzo generale. Tre arabi inveiscono, sbraitano gutturalmente ed io rispondo “Andate a conoscere il senso della vita...”. La discussione dura qualche minuto con io che sorridevo ma in italiano gliene dicevo di tutte e quelli che dopo aver minacciato in arabo la terza guerra mondiale (scenario non lontano di questi tempi..) riprendono a giocare gutturalmente indisposti (leggi: incazzati neri..). Ogni fallo è una guerra gutturale e fonetica, sbollimenti e scazzi di ogni fattura, teatrali, incomprensibili...un “vaffanculo” è rotondo, musicale suona bene...l’invettiva araba è estremamente più violenta e cacofonica. Ed anche intimidatoria ammetto. Accortomi che la gentilezza d’ufficio non si traduce in fair play affilo il tacchetto...

Insomma 90 minuti intervallati da discussioni infinite..Ed il bello è che io non ci ho capito una beneamata mazza in tutto questo. Come Peter. Mentre si scannavano per un rigore inesistente mi fregavo la loro acqua e pensavo...qua il cancro ai polmoni mi verrà davvero per inalazione di sabbia..oggi c’è stata la tempesta e non vi dico quanta sabbia c’era sull’erba sintetica. Dune football.

Risultato finale 4-3 per noi. Due feriti. Tackles tanti. Scontro diplomatico sfiorato. Previste tensioni domani in ufficio. Oggi due stereotipi hanno trovato conferma: gli arabi sono proprio scazzoni e noi italiani siamo terribilmente simili agli arabi, almeno nelle amichevoli scapoli contro ammogliati, com’era oggi. Ma almeno noi abbiamo una lingua più musicale.

A tratti mentre il confronto tra mondo sunnita, sciita e cristiano d’oriente si consumava davanti ad una rete pensavo che il nostro campetto a Pavia era proprio bello...davvero vicino e più eufonico, nonostante le divine imprecazioni... 

CDM

sabato 7 settembre 2013

Pilsener: ecuatorianamente refrescante



Si sa che una delle mie più grandi passioni, sia dedicarmi alla scoperta di tutti gli effetti possibili, sia fisici che sociali, associati all'uso e all'abuso di sostanze alcooliche. Di tutti i tipi.

Sarà per questo che non ho dismesso l'abito del "ricercatore" neanche l'ultima sera prima di imbarcarmi per questo viaggio. Il risultato, prevedibile, è stato una corsa folle in macchina fino alla sezione partenze dell'aeroporto Malpensa.
Arrivare 25 minuti prima della partenza di un volo intercontinentale, e pretendere di essere imbarcati, è un'esperienza che non auguro a nessuno, fosse solo per il fatto che ti metti a pensare a quanto può essere stupido rischiare di buttare nel cesso un biglietto di più di mille euro, acquistato senza neanche fare l'assicurazione, per aver bevuto "qualche" bicchiere di troppo.
Non dimenticherò mai la frase dell'impiegata al check-in che, dopo lunghe discussioni, finalmente mi permise di imbarcare la valigia, e mi diede la carta di imbarco dicendomi: "Signore, adesso deve correre". Che dire, accettai il saggio consiglio e corsi come neanche Forrest Gump avrebbe saputo fare.
Sospinto dall'inboccaallupo gridato alle mie spalle delle simpatiche signorine dell'Air Europe (al quale risposi prontamente "CREPI" rischiando di schiantarmi contro una barriera architettonica), arrivai finalmente al gate, ultimo, sudato, disidratato e con un chuchaki (resaca o post-sbronza) da competizione.

In un certo senso credo che questo possa essere il modo migliore per approcciarsi ad un viaggio verso un paese come l'Ecuador. Qui lo sport più praticato, dopo il "dare asilo politico a chi sputtana gli USA" e il gioco del "trivelliamo la foresta amazzonica per il petrolio", è sicuramente l'alcoolismo! D'altronde immaginatevi un posto dove ovunque puoi trovare birre (da 66cl) a un dollaro, meno di euro, praticamente il costo di un caffè! Se Ciccio avesse cercato lavoro qui il settimo colloquio neanche se lo ricorderebbe..

Come ogni sport ha le sue regole. Tanto per cominciare la domenica nessun esercizio commerciale può vendere nessun tipo di bevanda alcoolica, e questo non perchè sia il giorno del signore benedetto. Il motivo è molto più terreno: è stato infatti "empiricamente" dimostrato che sennò una buona percentuale della popolazione arriverebbe al lavoro il lunedì ancora ubriaca!
Un'altra regola curiosa è che, in prossimità delle elezioni, questo divieto si protragga nei 5 giorni precedenti e successivi alla tornata elettorale, causando panico e corse ai supermercati che neanche quando c'erano gli allarmi nucleari negli USA durante la guerra fredda..
Girando per le strade il venerdì e il sabato notte, ti viene da pensare che la gente abbia alcool al posto del sangue nelle vene, o come direbbe qualcuno "c'è del sangue nel mio alcool".

Qui succede poi che magari il governo aumenti le imposte selle bevande alcooliche, facendo arrivare il liquore più economico alla cifra astronomica di 5 dollari! E succede pure che la gente decida di fabbricarselo direttamente in casa, e poi magari di rivenderlo e di farci un piccolo business. Succede poi anche che, nelle settimane successive, ci siano strane epidemie, che magari colpiscono solo un villaggio, lasciando intatti tutti quelli limitrofi. Come ogni medico sa, sono di quelle epidemie che colpiscono solo durante la festa del pueblo, quando a farla da padrona è una bevanda composta proprio con quell'alcool fatto in casa, che si scoprirà poi essere adulterato ed essere riconosciuto colpevole della morte di decine di persone.

Così, fatta una bella scorta di ottima birra Pilsener, mi appresto a scendere in campo, cercando di sfoderare una buona prestazione, nonostante l'altitudine. Bisogna pur adattarsi agli usi locali no?
Non mi sono mai piaciuti quei personaggi che viaggiano e pretendono di avere le comodità, i sapori e gli odori di casa ovunque vadano!

Ora devo andare, di là mi aspettano un cubano, un'italiana e una colombiana..no, non è l'inizio di una barzelletta, ma piuttosto l'inizio di una serata qui a Quito. Il meteo dice che ci saranno abbondanti precipitazioni di birra, accompagnate da temporanee discussioni politiche, seguite da balli alternati di salsa, reggaeton e cumbia (giusto per non cadere negli stereotipi).

Meno male che basta alzare gli occhi per vedere tutt'intorno queste montagne immense che, verdi e rotondeggianti, ti guardano maestose dall'alto dei loro 3000 metri. Una presenza solida, da cui trarre un po' di forza e coraggio, perchè nonostante tutto ci sono sempre delle certezze su cui puoi contare, dei punti fermi nella vita di ognuno da cui poter ripartire e a cui fare ritorno.

Come testimonia questo blog appena nato.

La storia in seconda persona (CDM)

Premessa.
Tale Conte Mascetti, nobile decaduto costretto all'emigrazione verso la penisola arabica, è un ruspante marchigiano fiero della sua italianità, come lo era il Conte Lello Mascetti della sua nobile discendenza. I suoi racconti ci accompagneranno lungo le coste ricche di sfarzo degli Emirati Arabi, da egli stesso definito un "paradiso di plastica". 
Per evitare di urtare la sensibilità di qualche zelante "Vigile Paolini", firmeremo i suoi post C.D.M.




Il dominio gabonese del nostro piccolo blog è stata la svolta.

Un supercazzola afrocybernetica che solo il nostro Jean du Togo poteva sfornare. Il nostro diario di bordo parte quindi con l’auspicio che il glorioso dominio Gabonense porti fortune di magnitude comparabile a quelle del piccolo stato guidato da Bongo Ondimba. Un nome “non da uomo” che con uno stato petrolifero non ci azzecca una mazza. 

Del resto, negli Emirati possiamo vantare nomi più affini al petroldollaro. Un Al-, una aspirazione o un fonema aggressivo lo troviamo sempre nei nomi dei nostri benevoli governati..Diciamoci la verità: i nomi arabi al nostro delicato orecchio occidentale rimembrano consiamente o inconsciamente almeno due cose: Petrolio e guerra (santa o meno). Ancor di più a noi che abbiamo studiato nella facoltà più professsionalizzante, insieme a CIM, dell’UniPV: Scienze Politiche.

Il prezzo del petrolio sale ed i venti di guerra e di rivolta in Medio Oriente si sentono pesanti anche in questo paradiso di plastica costruito nel mezzo del nulla. Ho due colleghi di Damasco, sunniti suppongo, un amico vicino di casa di Latakia cristiano, tanti conoscenti libanesi sciiti e maroniti, un’altro amico egiziano che ha ricevuto dal Cairo la peggiore delle notizie poche settimane fa. 

La politica è un argomento tabù o quantomeno sconveniente nel Golfo. Ma in un commento, in un sospiro, in uno sguardo preoccupato dei miei conoscenti si percepisce la storia che ti scorre accanto. Dolorosa. Ma fortunatamente non ti tocca dentro. Al Cairo non è morta tua sorella. Rimango sempre un distaccato occidentale che ha amici e famiglia per lo più in un Paese in crisi nera, ma almeno in pace.

Dubai è poco più di un sogno effimero di ricchezza e pace che ha attratto centinaia di migliaia di persone del mondo arabo (e non solo). I locali sono pochi ed evanescenti nei loro immensi SUV dai vetri oscurati. La maggiro parte degli arabi qui non sono Emiratini ma Levantini. Di religioni diverse, di passaporto ed accenti differenti, più o meno tradizionalisti. Ma tutti accomunati da una cosa: l’assuefazione e la rasegnazione alla guerra come una costante non sradicadile della regione. La parola pace, Salaam, si usa solo per salutare, non per parlare di futuro. 

E a Dubai la Storia mi sfiora. Ma per fortuna la vivo attraverso la vita degli altri: in seconda persona.

C.D.M.

mercoledì 4 settembre 2013

UN Youth Goof



Fuori è l'imbrunire, l'ennesima giornata passata davanti al computer spulciando fra gli annunci e mandando candidature come se si, ci fosse un domani. Una mail arriva. Sembra interessante.

Si  è  da  poco  aperta  la raccolta delle candidature per il programma “UN Youth Volunteers”,  rivolto  a  giovani  laureati italiani nati dopo il 1° gennaio 1987.
[...] Gli incarichi si svolgeranno nei seguenti paesi: Bolivia, Ecuador, El Salvador,  Gambia,  Guatemala,  Malawi,  Mozambico,  Nicaragua,  Tunisia  e Vietnam.

Cazzo, interessante lo è davvero. L'idea di andare in Malawi a spiegare come si usa un preservativo o a cosa serve il voto è eccitante. Così seguo il primo link, compilo la solita robaccia, dati anagrafici un paio di caselle da sbarrare, ormai sono un automa, potrei farlo a occhi chiusi. Completo il primo passaggio, il sito dell'UNV  è assai professionale, mi mandano una mail di conferma per proseguire. L'email apre una pagina pressoché identica: vogliono una seconda conferma, così mi mandano una seconda email.

Thank you for your application to the United Nations Volunteers (UNV) programme. Based on the current demand for volunteer services, it is unlikely that we will be able to offer you a UNV assignment in the near future.

Gameover.
Morale della favola, anche le candidature appena aperte possono essere appena chiuse. Meglio non alimentare false speranze.

Sei caffè




Ieri ho preso sei caffè. Per qualcuni sembreranno molti, per altri sono la prassi, ma io ieri ne ho bevuti esattamente sei.

Il primo l'ho bevuto a casa, con i coinquilini, con gli amici e con mia sorella da poco diciottenne che sta per diventare una matricola universitaria. Lo beviamo facendo una rassegna stampa, spulciando le notizie politiche nazionali, quelle estere, i conflitti...sembra quasi una redazione: tutti li col computer a leggere e commentare tra un cornetto e un sorso di caffè, sperando di trovare in quella tazzina le energie necessarie per affrontare la giornata.

Gli altri cinque li ho bevuti fuori, al bar, come un signorotto borghese, e non ne ho pagato uno, tutti offerti.
Pare sia buona educazione offrire il caffè a un ragazzo al limite dei trent'anni che entra al bar a chiedere un lavoretto che poco c'entra coi suoi studi ma che gli permetterebbe di pagare l'affitto, le bollette e i caffè al bar da signorotto borghese.

Volevo continuare a girare i locali pavesi alla ricerca di un lavoro...ma un altro caffè non l'avrei retto proprio.

martedì 3 settembre 2013

Oh buaiola




Probabilmente codesto non è il modo più professionale di inaugurare questo blog, ma dato che per il momento le idee latitano, dato anche che è una sera di settembre e come da titolo siamo tutti sparsi per l'ellissoide, invece che a parlare delle solite stronzate in Via Brichetti, dato infine che il Necchi ha appena finito di rivedere per la duemiliardesima volta Amici Miei, vorrà dire che si inizierà così.
Ora riascolterò la buaiola per l'ultima volta e proverò a mandare un'altra candidatura a qualcosa che non so, prima di andarmene a letto. Qui ognuno avrà da raccontare le sue storie, ma la realtà è che le storie di molti di noi hanno ancora, a cinque mesi dalla fine dell'università, a che fare con la ricerca di un impiego, la spremitura delle meningi alla ricerca di un'idea per sbarcare il lunario.
Ecco, se proprio posso chiudere con uno sfogo, un pensiero va ai quattro stronzi che, non accontentandosi di un curriculum fatto come dio comanda, oggi come ieri e l'altro ieri e il giorno prima, mi hanno fatto perdere mezza giornata a reinventare una maniera per spiattellare nero su bianco la vecchia minestrina riscaldata delle mie organizational, social e techical skills. Oh un lo volete capire che noi s'è fatto scienze politiche e sappiamo fa' na sega!